Se peggiorano tutte le regioni, la chiusura generale avverrà di fatto
di Redazione

“Il rischio lockdown generalizzato non è scongiurato perché dobbiamo valutare gli effetti” delle misure adottate contro la corsa di Covid-19”. A mischiare un altro po’ le torbide acque in cui navighiamo a vista, ci si mette anche Walter Ricciardi, consigliere del ministro della Salute Speranza e docente di Igiene alla Cattolica di Roma: stamattina ha annunciato a SkyTg24 che la serrata nazionale è ancora un’opzione sul tavolo quando tra le pochissime certezze, emerse nei convulsi vertici di queste ore, la principale era proprio il no a una chiusura stile fase 1 (anche se ormai poco ci manca). “Quello che sta succedendo è che in molte regioni la situazione sta peggiorando, in altre è stabile – spiega Ricciardi -. E noi dobbiamo, nelle regioni che stanno peggiorando, arrestare questo peggioramento e nelle regioni che sono stabili invertire la curva e farla diminuire. Soltanto quando saremo certi che questo avviene allora potremo trarre delle conclusioni”. “Dobbiamo aspettare ancora una decina di giorni – aggiunge -. Perché le misure che sono state introdotte una settimana fa e quelle rafforzate pochi giorni fa, per dare degli effetti stabili bisogna valutarle dopo 2 settimane. Stiamo andando nella giusta direzione con le misure prese, speriamo di vedere presto tutti quanti i risultati”.
Ma allora a che serve il vertice di domani tra governo, enti locali e scienziati per inasprire le regole deve diverse aeree gialle, arancioni e rosse? La confusione è enorme, pare esserci un deficit di comunicazione tra i vari attori istituzionali chiamati a decidere sul futuro prossimo del Paese: ognuno sembra andare per conto suo, con le sue idee e valutazioni, procedendo in ordine sparso. “Alcune aree metropolitane di regioni in zona gialla per me sono già zona rossa – rivela, appunto, Ricciardi -. Ma questo lo dico sulla base della pressione che i miei colleghi di quelle regioni mi raccontano, che in certi casi è insostenibile. Non riusciamo a curare né i pazienti Covid né men che meno i pazienti non Covid che in ospedale, per interventi importanti per patologie rilevanti, non ci riescono più ad arrivare”. Certo, ammette, “magari se invece di avere 21 indicatori ce ne fossero solo 4 o 5, monitorati giornalmente anziché settimanalmente” la situazione e le misure da osservare sarebbero se non altro più nitide.
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