Coronavirus, uno studio Britannico conferma: “Una persona su cinque sviluppa disturbi psichiatrici dopo la diagnosi di Covid”
di Redazione

Uno studio britannico conferma il rapporto a tre mesi dalla diagnosi: la sindrome colpisce duramente non solo l’organismo ma anche la mente evidenziando anche il rischio di ripercussioni a lungo termine.
Un grande rischio per la salute legato alla pandemia di coronavirus: è quello che riguarda le ripercussioni psicologiche sui pazienti. Chi supera il Covid-19, anche se non sviluppato in forma grave, manifesta anche problemi mentali nei giorni o nelle settimane seguenti?
Alle osservazioni e alle rilevazioni aneddotiche dei mesi scorsi relative a questo possibile collegamento si aggiunge ora uno studio britannico che sembrerebbe confermarlo. L’indagine pubblicata su Lancet Psychiatry, ha scoperto che almeno una persona su cinque fra quelle che hanno avuto la Covid-19 sviluppa un disturbo mentale nel giro di tre mesi dalla positività. Lo sostiene la ricerca del Dipartimento di Psichiatria dell’Università di Oxford, pubblicata sulla rivista britannica, basata sullo studio di 69 milioni di cartelle cliniche, delle quali 62.354 risultano con diagnosi positiva. “Un dato scientifico di grande rilevanza”, commenta Massimo Cozza, lo psichiatra e direttore del Dipartimento di Salute Mentale dell’Asl Roma 2.
E’ stato scoperto inoltre che il 18% di quei pazienti ha anche ricevuto una diagnosi di patologia mentale in una finestra oscillante fra i 14 e i 90 giorni dopo la diagnosi. Una soglia spaventosa che dà l’idea della dimensione in cui la positività può in certi casi condurre le persone. Un dato che sottolinea l’importanza dell’assistenza psicologica per chi si trova ad affrontare in prima persona il virus ed evidenzia anche il rischio di ripercussioni a lungo termine, anche dopo la fine della pandemia.
Non basta. Dalla ricerca britannica è emerso anche un rapporto inverso: le persone che invece già soffrivano di qualcuna di queste condizioni, per esempio di disturbo da deficit attentivo e iperattività, bipolarismo, depressione o schizofrenia, sembrano aver fatto segnare una tendenza più elevata del 65% di poter essere contagiati. Su questo, ovviamente, il terreno è effettivamente minato.
Dovremo dunque prepararci per i prossimi mesi e anni, anche in termini di supporto diffuso sul territorio. Quello che l’indagine ha scovato è solo “la punta di un iceberg”, vedremo il seguito nei prossimi mesi.
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