di Redazione
Ti guardo da molto lontano. Magro, consumato dal tempo come un oggetto.
Ricordo bene quella volta che mi hai tenuta sulle gambe, in campagna
ad osservare il cielo insieme. Avrò avuto 5 o 6 anni, non di più. Forse stavano passando degli aerei, ma a me è rimasta l’impressione di veder navigare dei transatlantici nell’azzurro della volta celeste, celeste come i tuoi occhi che io non ho.
Sei stato il mio primo nemico e ti ho sfidato e combattuto per demolire le tue idee e i tuoi “no”.
Anni e anni di contrasti silenziosi.
Abbiamo sempre parlato poco.
Dopo la vita, di regali ne ho visti raramente. Raramente ho sentito parole di
elogio per l’impegno a scuola. Sempre promossa, mai una sorpresa: “Hai solo fatto il tuo dovere. Mantenerti agli studi è già un regalo”.
La bici…avrò avuto sette anni e pianto per mesi prima di vederla materializzarsi…
Mi sono mancati gli abbracci, le occhiate complici, le frasi di incoraggiamento.
Distante da te, qualcuno è riuscito a colmare in qualche modo le lacune.
Non è stata la stessa cosa: quell’uomo non era mio padre, solo un buon surrogato che con gli anni ha ripreso il suo ruolo reale di estraneo entrato nella mia vita per caso, rimasto per soddisfare la necessità di confrontarmi con una persona adulta dall’aspetto paterno, per favorire il processo di accettazione di una realtà forse anomala: la nostra.
Non hai mai saputo.
Poi, pian piano, ho spiccato il volo.
Ho capito le ragioni del tuo comportamento quando ho scoperto di essere apparentemente dura e fredda come te; ho immaginato che avrai pianto anche tu tante volte, ma di nascosto: le lacrime sono manifestazioni di debolezza interiore e noi, papà, non possiamo mostrarci deboli agli occhi di nessuno. Anche io tendo all’isolamento e al silenzio.
Noi vediamo le stesse cose nello stesso modo: il senso di giustizia dentro di noi è alto ma in fondo siamo dei prevaricatori morali.
Tacitamente mi hai insegnato che essere onesti paga, sempre.
Lavoratori infaticabili tutti e due: oggi ho capito perché non tornavi a pranzo nemmeno la domenica, perché ad un certo punto non mi hai più portata al mare, sugli scogli di Timperosse.
Quando è arrivato il momento di lasciare il nido, però, ho finalmente sentito ciò che avevo sempre desiderato: “Se è quello che vuoi, se è per questo che hai studiato, vai!”… il tuo consenso, per una volta. Da quegli occhi di ghiaccio è scaturita, all’improvviso, tutta la calorosa stima che nutri per me. Mantenendo il silenzio di sempre, hai detto mille parole piene di orgoglio volte a lodare la mia tenacia, il mio coraggio, la costanza.
E io sono andata. Serena.
Adesso, da lontano ti vedo tenero, e finalmente “padre”.
Auguri per i tuoi 75 anni, papà.
Stellarossa
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