Roma - La Legge europea n. 238/2021 ha modificato gli articoli 93, 94, 132 e 196 del Codice della strada ed è stato aggiunto l’articolo 93-bis. Alcune novità sono in vigore da primo febbraio, ma il nuovo regime è pienamente operativo dal 18 marzo. In sostanza, si è passati da un divieto di guidare sul territorio nazionale veicoli con targa estera per chi risieda in Italia da più di 60 giorni a un obbligo di immatricolare con targa italiana (articolo 93-bis) il proprio veicolo entro tre mesi (chi era residente da prima dell'1 febbraio deve mettersi in regola dall'1 maggio, secondo la circolare 9868U/2022 emanata dalla direzione centrale Specialità della Polizia il 23 marzo). Nel nuovo regime, l’immatricolazione in Italia si può evitare se il conducente residente in Italia non coincide col proprietario (residente all’estero): in questo caso, si è in regola se si tiene a bordo un documento con data certa firmato dal proprietario, che indichi a che titolo e per quanto tempo il conducente può utilizzare il veicolo.
Se il diritto di questi a disporre del mezzo «supera un periodo di 30 giorni, anche non continuativi, nell’anno solare», titolo e durata dell’utilizzo vanno registrati in un nuovo archivio, tenuto dal Pra: il Reve (Registro veicoli immatricolati all’estero). Ad oggi non è richiesto il pagamento né dell’Ipt (Imposta provinciale di trascrizione) né del bollo auto (che va alla Regione) e dell’eventuale superbollo, nonostante il nuovo comma 4-ter dell’articolo 94 del Codice istituisca nel Pra un elenco dedicato alle targhe estere, a fini fiscali. Inoltre, la targa estera porta con sé il fatto che la polizza assicurativa sia rilasciata nel Paese di immatricolazione. Quindi alle Province non va l’imposta sulla Rc auto, che è la loro principale fonte di introiti. Perdite rilevanti anche per l’erario statale: il veicolo viene acquistato in un Paese europeo (a scapito peraltro della rete commerciale italiana e del suo indotto) da un soggetto che vi risiede, fruendo spesso di un’Iva inferiore a quella italiana e magari di un incentivo all'acquisto che per le persone giuridiche che comprano in Italia rischia di non esserci più per tutta la tornata di bonus che sta per iniziare (e che durerà fino al 2030).
Anche se in alcuni Stati l'operazione non conviene perché ci sono anche altre pesanti tasse sull'immatricolazione. Nel caso di una vettura “potente” (il cui motore sviluppa più di 185 kiloWatt), lo Stato perde pure l’incasso del superbollo. Questo vale non solo per gli esemplari nuovi, ma anche per quelli già circolanti con età fino a 20 anni (oltre questa soglia, scatta comunque l’esenzione). La “liberalizzazione” delle targhe estere è un’ulteriore spinta a eludere questo tributo, esportando fittiziamente la propria auto e reimportandola con targa di un altro Paese. Salta anche il contributo al Servizio sanitario nazionale che è dovuto sulle polizze Rc auto emesse in Italia. Sempre sul fronte assicurativo, si acutizza il problema delle compagnie estere (in particolare di alcuni Paesi dell’Est Europa), che a volte non risarciscono i danni o lo fanno in modo tardivo o incompleto: sono basate in Paesi dove i costi di liquidazione dei sinistri sono ben più bassi che in Italia. Altrettanto bassi sono i prezzi delle polizze.
Il risultato è che chi circola in Italia con la targa estera risparmia anche sull’assicurazione, a spese della collettività nazionale (i risarcimenti sono garantiti dall’Ufficio centrale italiano, che funziona grazie ai contributi pagati sulle polizze emesse in Italia). Su questo quadro s’innestano le altre coincidenze. Già per la prossima estate l’Aniasa (l’associazione confindustriale di noleggiatori e car sharing) ha invitato i turisti a prenotarsi per tempo, lasciando anche intendere che ci sarà un aumento dei prezzi, soprattutto in Sardegna e Sicilia: le difficoltà nella produzione delle auto non consentono di avere flotte adeguate alla domanda. Per rimediare almeno in parte, d’estate si potranno trasferire in Italia vetture da Paesi meno turistici.