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23/10/2009 16:23

Baaria sbarca a Scicli. Al Cine Teatro Italia. Riaperto

di Redazione

Meteo: Scicli 30°C Meteo per Ragusa

Scicli – Sabato sera, con rotazioni alle 18,30 e alle 21,30.
In ritardo, è vero, ma questo ora appartiene al passato.
Baarìa sbarca a Scicli, al Cinema Italia, riaperto, con una gestione più dinamica ed efficiente.

Il gestore rende nota la nuova programmazione.
Il sabato e la domenica le prime visioni e i film di punta.
Il venerdì cineforum, cinema d’essai e d’autore.
Il martedì prezzo ridotto.
Il mercoledì serata rosa, ovvero prezzo ridotto per le donne.
Il giovedì la stagione teatrale, concertistica e musicale.
Il lunedì gli appuntamenti istituzionali e le serate di beneficienza.

Nel foyer un inedito spazio espositivo.

 

Pubblichiamo una recensione del film a firma di Giuseppe Pitrolo


C’era una volta (Novecento) in Sicilia

Baarìa di Giuseppe Tornatore

 

Nella parte finale di “Nuovo Cinema Paradiso” Anna, la vedova del proiezionista Alfredo, diceva al protagonista Salvatore: “Alfredo ha lasciato due cose per te”. Ricordiamo tutti una delle “due cose”: il rullo di pellicola con i baci tagliati, “il più bel pezzo di cinema mai visto”… Ma quale era l’altra cosa lasciata da Alfredo? Per un ulteriore, ironico gioco di tagli lo spettatore della versione ridotta di “Nuovo Cinema” non può sapere in che consista il secondo lascito. Lo sveliamo noi: è lo sgabello che “Alfredo aveva fatto costruire perché lui da bambino potesse salirvi sopra per mettere le bobine in macchina”. Se la bobina dei baci simboleggiava il desiderio del cinema, quindi, lo sgabello significava il desiderio di crescere, di trovare la propria identità.

     Dopo nove film e mezzo (“9 e ½”) Giuseppe Tornatore è sempre più un Autore, caratterizzato da delle costanti immediatamente ravvisabili: la Sicilia, narrata dal Fascismo agli anni Ottanta; la memoria e il tempo; le grandi passioni; il rapporto fra figlio e padre. Eppure sotto queste tematiche il tema di fondo è la crescita, la ricerca dell’identità: si pensi al Totò di “Nuovo Cinema”, allo smemorato scrittore Onoff di “Una pura formalità”, agli speranzosi aspiranti attori de “L’uomo delle stelle”, al Novecento (che trova se stesso nella rinuncia) de “La leggenda del pianista sull’oceano”, alla colf Irena de “La sconosciuta” che cercando la figlioletta rubatale cerca se stessa; si pensi anche “Malèna”, che è “il diario di una crescita: un bambino che diventa uomo e una ragazza che diventa donna”.

     E si pensi ora a “Baarìa”, “la storia di una famiglia di Bagheria [la città di Tornatore] che va dal ventennio fascista in cui Cicco, contestatore sin da bambino, è un modesto pastore con la passione per la letteratura epica, a suo figlio Peppino, cresciuto durante la guerra, che entrerà nelle file del Partito Comunista divenendone un esponente di spicco sul piano locale e riuscendo a sposare, nonostante l’opposizione della famiglia di lei, Mannina, che diventerà madre dei loro numerosi figli che saranno comunque considerati da alcuni sempre ‘figli del comunista’”. Infine arriviamo al nipote Pietro, che negli anni ottanta cercherà fortuna artistica “nel Continente”. Quindi il film racconta la storia di una famiglia che è pure la storia di una comunità e dell’intera Italia, dalla miseria del Fascismo alla DC e al PCI, al ’68,… E questa famiglia è quella dello stesso Tornatore, il cui padre, Peppino, col comunismo “inseguiva il sogno di migliorare la vita di tutti” (Tornatore), sostituendo all’egoistico “Io” l’altruistico “Noi”, passando dal fascista “Me ne frego” al kennedyano “I care” (“mi sta a cuore”).

     Bagheria è misura del mondo e grembo protettivo, da cui però bisogna avere la forza di staccarsi. Dunque fin dalle prime, sognanti scene la città è vista dall’alto, in volo, e dal basso, dai “bassi”, da quelle case a pianoterra il cui soggiorno e salotto è la strada, e nella strada si stendono i panni.

     Ed il vero protagonista del film è il Corso (Umberto), di cui seguiamo i cambiamenti nel corso del secolo.

     Quindi il singolo e (è) il mondo, le vicende individuali si alternano agli avvenimenti collettivi, i primi piani alle scene di massa, il cui movimento centrifugo procede dal centro dello schermo verso lo spettatore.

     Vediamo la Sicilia poverissima del ventennio fascista, nella quale i lavoratori sono sfruttati e la maestra definisce il piccolo Peppino “sovversivo”; poi la rivolta conseguente allo sbarco degli Alleati; quindi l’occupazione delle terre (abbiamo pensato a “Tre giorni d’anarchia” del nostro Vito Zagarrio); la strage di Portella delle Ginestre (con le bandiere rosse mescolate a quelle tricolori); i sindacalisti uccisi dalla mafia (Carnevale, Rizzotto, Miraglia,…); il malaffare; il sacco edilizio; Tambroni; ma anche Renato Guttuso, Ignazio Buttitta, Lattuada che a Bagheria gira “Mafioso” nel 1962; la minigonna che arriva pure a Bagheria; gli anni del boom;. l’eskimo; l’accusa a Peppino di essere “uno sporco riformista”, ma Peppino dirà che “riformista è chi sa che a sbattere la testa contro il muro chi si fa male è la testa. E riformista è chi vuol cambiare il mondo col buon senso”.

     “Baarìa” è “una commedia epica” (Tornatore), “un kolossal minimalista” in cui si ride e si piange, in cui l’iperrealismo (di un Garrone) già usato nella “Sconosciuta” s’alterna alla visionarietà e all’onirismo utilizzati in “Una pura formalità”: il regista crea una realtà epicizzata ed un epos realistico che partono dalla realtà magica (più che dal realismo magico) di una città spietatamente fantastica al cui centro si trova villa Palagonia, la villa dei mostri.

     “Baarìa” è un film lontano dal minimalismo di certo cinema italiano contemporaneo: prevalgono infatti l’enfasi, l’eccesso, l’iperbole, sia grottesca che tragica. La cinepresa è mobilissima, soprattutto nelle grandi scena di massa e nelle riprese dei paesaggi. Alla solennità s’alterna la comicità, anche per abbassare il tono, che altrimenti correrebbe il rischio di volare verso il sublime (e magari verso “il patetico e il ridicolo”, come direbbe l’Elena di “Nuovo Cinema”).

     Ovvi i rimandi a Fellini, e in particolare a quello di “Amarcord”: si pensi al piccolo paese, alla provincia, alla satira del Fascismo, dell’eterno trasformismo italico, per cui il cinema “Littorio” dopo la liberazione grazie agli Alleati diventa cinema “Vittoria” semplicemente scalpellando la “V” e la “a”…

     Scontati i rinvii al Bernardo Bertolucci di “Novecento”, ma innanzitutto a Sergio Leone, con il quale Tornatore (il film si sarebbe potuto chiamare “C’era una volta in Sicilia”) condivide i temi della crescita e della memoria, l’epicità, la visionarietà, l’idea di  un cinema di scene madri; per non dire dei dettagli, dei primissimi piani, dei totali, delle dollies, dell’accordo fra le immagini e la struggente musica di Morricone. Per non dire del gusto dell’affabulazione, dell’intrecciare molteplici storie e personaggi: il Tornatore de “La leggenda del pianista sull’oceano” ripeteva con Baricco che “non sei fregato veramente, finché hai una buona storia e qualcuno a cui raccontarla”: regola che vale anche per “Baarìa”, dall’andamento narrativo sorprendente, coinvolgente e ricco di sorprese finali.

     Tornatore, come in altri suoi film, ama disseminare le sue opere di citazioni cinematografiche: qui da “Cabiria” (1914) a “Tre fratelli” (1981) di Rosi, per dare il senso del tempo e delle emozioni collettive e per auto-citarsi: si pensi solo ai bambini che recuperano fotogrammi, come il Totò di “Nuovo Cinema”, da “Catene” a “Il Buono, il Brutto e il Cattivo”…

     E sui titoli di coda potrete addirittura vedere spezzoni dei primi filmini in 8 mm del giovanissimo Tornatore, accompagnati in sottofondo dalle voci dei bagherioti illustri Renato Guttuso, Ignazio e Pietro Buttitta, Dacia Maraini, Ferdinando Scianna,… e dalla voce di Tornatore consigliere comunale comunista che legge il giuramento al momento della nomina. Una ricomposizione finale – in fondo – della pluralità di personaggi e dei molteplici punti di vista analoga alle scene conclusive a Giancaldo di “Nuovo cinema” in cui rivediamo i vari personaggi. E funzione simile ha pure l’orecchino della sorella, una sorta di wellesiana Rosebud…

     Il film è interpretato da attori di generazioni diverse, dagli esordienti Francesco Scianna (l’utopico Peppino) e Margareth Madè (la decisa Mannina) a Michele Placido (debuttante nel 1973) ad Ángela Molina (esordiente nel 1977 con Bunuel), ai migliori attori siciliani e italiani: Aldo Baglio, Monica Bellucci, Raoul Bova, Laura Chiatti, Giorgio Faletti, Donatella Finocchiaro, Beppe Fiorello, Nino FrassicaNicole Grimaudo, Leo Gullotta, Gabriele Lavia, Enrico Lo Verso, Luigi Lo Cascio, Valentino Picone, Salvatore Ficarra, Vincenzo Salemme, Lina Sastri, Toni Sperandeo,…

     Al centro di “Nuovo Cinema” c’era la sala cinematografica, chiusa; al centro di “Baarìa” c’è il corso, che implica il movimento, anche se questo può limitarsi ad un muoversi avanti e indietro sempre sulla stessa via.

     “Baarìa” è, in fondo, la vita di un uomo, non illuminata dal successo, ma comunque onesta, bella, dignitosa, degna di essere vissuta, raccontata, ricordata.

     E voglio concludere svelandovi un altro segreto: vi commuoverete perché una mosca vola…


Giuseppe Pitrolo