Chissà cosa avrebbe da raccontarci
di Saro Distefano


Ragusa – Nonostante la crisi, per mia fortuna non sono ancora arrivato al punto da dover frugare tra i cassonetti dell’immondizia, come invece fanno sempre più numerosi miei concittadini. E osservarli, davanti i maggiori supermercati della città, è cosa a dir poco pietosa. E per certi versi anche rabbiosa (al pensiero che si soffre la fame in una città dove l’abbondanza era la norma, e fino a cinque anni fa).
Ma nella strada dove abito, sono tre i cassonetti che incrocio, più volte al giorno (in attesa che si dia il via ad una seria campagna di raccolta differenziata). E accanto ad uno di questi ho visto, e fotografato, la scena che propongo: proprio accanto al moderno raccoglitore in plastica blu (cassonetto per la raccolta indifferenziata), è stato abbandonato un baule, uno di quelli antichi. È di legno verde, coi bordi rinforzati in metallo, parrebbe ottone, certamente nelle maniglie e negli angoli.
Un reperto del passato, nemmeno troppo remoto. Un contenitore. Chissà di cosa, di quanto, da dove, per dove. Se ha viaggiato, magari per mari e oceani, se è sempre rimasto nella casa dei proprietari, se ha custodito un corredo nuziale di bianco cotone e lino per le traverse, se ha nascosto un bambino nel suo antico “nascondino”, se ha avuto giorni di lutto, se è servito da sedia, da tavolo, se ha subito graffi e fiamme. Certamente ha subito l’umiliazione dell’abbandono, del rifiuto, letteralmente. Mi aspettavo di vederlo accanto a quel cassonetto per qualche giorno, posto che i rifiuti cosiddetti ingombranti hanno un preciso calendario per la loro raccolta. E invece il giorno dopo non c’era già più. Forse il calendario della raccolta prevedeva proprio quel giorno il giro dal mio quartiere, oppure, e mi piace immaginarlo, i proprietari saggi della famiglia moderna hanno avuto un moto di pentimento oppure ancora, ipotesi plausibilissima e che mi renderebbe felicissimo, altri lo hanno raccolto.
Altri: i netturbini o chi, come me, lo ha visto e lo ha ritenuto ancora utile, e non perché c’è la crisi e per l’ottavo trimestre di seguito il Paese ha fatto registrare una flessione, insomma un segno meno. Spero quel cassettone, nel mio dialetto “a cascia”, possa essere adesso in una soffitta, ma per coerenza linguistica dovrei dire “tettumuortu”, e restarci ancora per qualche secolo, e magari servire per nascondiglio al bimbo che per qualche minuto riesce a staccarsi dal suo i-pad.
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