In tema con il Cop26 di Glasgow, il menù della dieta climatica del 2050 per salvare salute e pianeta
di Redazione
Roma – Come cambierà la nostra dieta da qui al 2050, ossia per quando tutti i Paesi dovranno rispettare l’impegno alla neutralità climatica? Di certo non se ne può imporre una “universale”, globale, calata dall’alto: “Non esistono soluzioni valide per tutti – dice al Sole 24 Ore il prof. Angelo Riccaboni, tra gli organizzatori dell’ultimo Food System Summit di Roma e del G20 Agricoltura -. Ci sono troppe differenze di contesti, di culture locali e anche di gusti ma la dieta mediterranea ha il doppio vantaggio di essere sostenibile e di tutelare la salute”.
No a cibi sintetici: “Anche se sostenibili penalizzerebbero quelle realtà diffuse in Paesi come il nostro che su molte filiere agroalimentari poggiano una parte importante delle loro economie, del turismo e della tutela stessa del territorio”. Frutta e verdura fa sempre bene: finché si consuma si ripianta, mantenendo vegetazione e terreni fertili.
Meglio il pesce della carne: “Attualmente circa un miliardo e 300milioni di persone vive nutrendosi soprattutto con le risorse del mare, ma si pesca più di quanto gli oceani producono – aggiunge Roberto Danovaro, tra i massimi esperti italiani di biodiversità ed ecologia marina -. Occorre concentrarsi su produzione di frutti che si riproducono velocemente come bivalve, cozze e ostriche o pesci che si trovano alla base della catena tropica come le acciughe piuttosto che i predatori apicali come pesci spada e tonni, ricchi peraltro di metalli pesanti. E poi ci sono sempre le alghe”.
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