Cultura
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17/06/2011 09:36

Biagio Pace, archeologo, comisano

Il Paolo Orsi ibleo

di Saro Distefano

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Biagio Pace
Biagio Pace

Comiso – È trascorso esattamente un secolo dalla pubblicazione di ““Barbari e Bizantini in Sicilia”, di Biagio Pace. L’archeologo comisano, in quella pubblicazione edita dalla Società Siciliana per la Storia Patria nell’ambito degli “Studi sulla Storia dell’Isola dal secolo V al IX”, prende in esame alcune della principali emergenze iblee relativamente al periodo bizantino. E si tratta di quei monumenti che ancora oggi si studiano, in qualche caso si scavano e in qualche altro ancora si tenta di non far definitivamente distruggere, dal tempo e dai vandali (si intendono i cretini che in ogni epoca si divertono a distruggere, a “vandalizzare” appunto monumenti e proprietà).

In quel lontano giugno del 1911 Biagio Pace era poco più di un ragazzo, grande ammiratore e stretto collaboratore di Paolo Orsi, il maggiore archeologo italiano (di allora e di adesso), e grazie ad una sterminata biblioteca familiare era venuto in contatto già da anni col mondo classico e la ricerca moderna delle antiche tracce. Tra le altre cose, nei vasti possedimenti della famiglia Pace non pochi erano i terreni in quella contrada Cammarana dove si sviluppa gran parte dell’area archeologica dell’antica Kamarina.

Ed è a Kamarina che l’attività scientifica di Biagio Pace si sviluppa maggiormente, con tante campagne di scavi (a Kamarina il Pace scavava già da ragazzo in maniera dilettantistica e poi, poco più che ventenne, quale assistente di Orsi) e con la pubblicazione di un volume del 1927 che è rimasto fondamentale per la successiva ricerca archeologica nel sito dell’antichissima sub-colonia greco-siracusana. In quel volume dal titolo “Camarina” ed edito dalla “Libreria Tirelli” di Catania, l’archeologo comisano inserisce nel testo ben sessantanove illustrazioni e due carte topografiche nelle quali evidenzia, a colori, tutte le principali stazioni archeologiche, le strade antiche, i ritrovamenti più recenti.

Interessante leggere nella Prefazione al volume Biagio Pace che descrive il pericolo delle escavazioni illegali da parte di tombaroli che, nella zona tra Gela e Kamarina, hanno letteralmente spogliato intere necropoli privandole non soltanto di chissà quali importanti reperti, ma anche della possibilità di essere successivamente studiate seriamente da archeologi professionisti. Se ne rammarica, il grande studioso comisano (che nel 1927, anno di pubblicazione del volume del quale riferiamo era già Ordinario di Storia dell’arte classica all’Università di Pisa che lascerà nel 1932 per assumere la carica di Preside della Facoltà di lettere all’Università di Napoli), e ricorda di quanto danno abbiano potuto arrecare ai siti archeologici anche quegli studiosi che, in totale buona fede, e soprattutto per bramosia di risultati scientifici, hanno scavato in maniera forsennata e distruttiva. Biagio Pace si riferiva al 1927, ma oltre ottanta anni dopo la situazione non è molto cambiata. Al leggendario Lapunieddu, tombarolo rimasto nella storia e la cui storia meriterebbe un approfondimento che speriamo poter pubblicare prossimamente, si sono sostituiti anonimo cercatori forniti di metal detector sempre più raffinati ed affidabili. Da scavare c’è ancora tanto, e i tombaroli hanno tanto tempo e tanti soldi, certamente più di quelli delle Soprintendenze. Ma del resto, lo ha detto il super-ministro dell’Economia in procinto di diventare Presidente del Consiglio, la cultura non si mangia.