di Contrappunto

Noto – Harry Houdinì o David Copperfield? A chi tra i due illusionisti anzidetti è possibile assimilare Stefano Bollani? Il musicista dal talento immenso a cui non piacciono i “messia” nella musica, convinto com’è che quest’ultima sia rimasta oggi l’unica forma di espressione veramente democratica, così come ci dice nella brevissima discussione tenuta prima del concerto di Noto: “per fortuna anche oggi la musica viene spinta dall’onda di tutti quanti la fanno, la compongono, e non viene trainata dal Noè di turno attraverso un’arca”.
Detto ciò Bollani, così come ci aveva anticipato, non segue tracce precostituite, menabò o altro. Si siede sulla sgabello e non sa neppure lui cosa suonerà, seguendo l’ispirazione del momento, l’istinto dettato dal luogo-situazione. Come un illusionista, non sai mai se tirerà fuori dal suo cappello, anzi, dal pianoforte, un coniglio o che altro. Nella serata di Noto, concerto di chiusura della felice rassegna estiva organizzata con grande capacità ed esperienza dall’Associazione Concerti Città di Noto sapientemente presieduta oramai da anni dal Maestro Corrado Galzio, Stefano Bollani ha respirato un attimo l’aria che spirava sul bellissimo cortile del collegio dei Gesuiti (stupenda ed azzeccata location) ed è partito per un viaggio musicale trasversale al tempo, alle tendenze, ai gusti.
Ci piace pensare che la sensibilità dell’artista sia tale da percepire, come nel caso della serata netina, l’eterogenia del pubblico presente. E così la serata scorre su temi meno impegnativi di quelli che Bollani ci ha abituati in altre performance più specificatamente dedicate a un pubblico preparato. E’ così, per esempio, che “La Cumparsita”, secondo brano eseguito, diventa una marcia funebre all’inizio, si tramuta in una marcetta militare per divenire un brano classicheggiante.
“Tristezza” diventa un inno all’allegria: tutta roba da Bollani.
Insieme a “Il domatore di pulci” tratto da Copacabana le cose più convincenti.
E così tutta la serata scorre sul tema delle “trasfigurazioni” musicali, per il godimento degli oltre 600 fortunati presenti. Poiché molti sono rimasti fuori dai cancelli chiarendo, qualora ce ne fosse bisogno, che l’artista Milanese (classe ’72!!!) richiama platee sempre più vaste.
Se proprio un neo dobbiamo trovare alla scaletta, ci è parso che, soprattutto nella prima parte dello spettacolo, Bollani si sia estraniato dal contesto e abbia voluto anestetizzare gli astanti con un repertorio un po’ troppo soft, lento, quasi soporifero, durato per altro quasi metà concerto. Forse altro pubblico e altre sollecitazioni avrebbero fatto sconfinare Bollani in ben altre praterie sonore, così come accade di solito durante le sue esibizioni. Ma questa è solo la convinzione di chi scrive.
Pensiamo che un giorno, speriamo quanto più lontano possibile, il cervello di Bollani sarà studiato dagli scienziati per comprendere come creatività, fantasia e tecnica si possano fondere in un unico soggetto e forse finalmente comprenderemo perché questo musicista sia in grado di fare – con il pianoforte – ciò che a noi comuni mortali risulta incomprensibile.
Salvo il fatto che le note rubate alla tastiera nelle maniere più inimmaginabili ci rapiscono e ci fanno godere, avvicinando alla musica jazz anche i meno adusi al genere. D’altronde Stefano Bollani non è solamente un mostro di tecnica ma è anche un grande attore: un istrione imitatore degno dei più grandi cabarettisti. Se mai gli dovesse risultare seccante suonare, in un futuro potrebbe ripiegare su quest’ultima attività certo di ottenere i medesimi successi. Il concerto si chiude con l’oramai noto medley teso a fondere in un unico pezzo dieci brani più o meno noti, dettati dal pubblico: giochino sempre convincente e particolarmente divertente quando le imitazioni di Battiato, Paolo Conte e Fred Bongusto fanno raggiungere l’apice del gradimento agli astanti che dopo un’ora e trentacinque minuti di bollani-terapia, bis incluso, possono tornare a godersi – soddisfatti – le bellezze barocche di Noto.
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