Cultura
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11/09/2018 18:03

Bronzi di Riace, il museo è un’eccellenza italiana

Una sorpresa inattesa

di Redazione string(0) ""

I Bronzi di Riace
I Bronzi di Riace

Reggio Calabria – 1972: vengono trovati per caso i Bronzi di Riace.
Dall’iniziale clamore nazionale che segue i restauri, presto i due guerrieri finiscono al centro di polemiche di ogni tipo, che ne fanno oggi una delle opere più discusse. Fondamentalmente la domanda è sempre la stessa: a chi appartengano e di conseguenza dove e come vadano esposti.
Perché si sa, al Sud non funziona mai niente e insomma, questi Bronzi di Riace proprio lì, a pochi metri dalla costa calabrese, dovevano restare per tutto questo tempo? Non potevano scegliere fondali un po’ più “facili”, vicini a poli museali che li avrebbero potuti accogliere nel migliore dei modi e in tempi relativamente brevi? Intorno ai due bronzi, modello eterno e insuperabile della bellezza idealizzata e coraggiosi anticipatori dell’arte classica vera e propria, da anni ruotano polemiche e piovono critiche. Non certo sui due guerrieri perfetti quanto sull'”uso” (Salvatore Settis così lo chiama nel suo “Sul buono e cattivo uso dei bronzi di Riace”) che se n’è fatto e si continua a farne, tanto da portare Gian Antonio Stella a concludere sulle pagine del Corriere della Sera un paio d’anni fa che i Bronzi hanno avuto “la sventura di naufragare davanti a Riace e poi nel mare di chiacchiere di insulsa vanità”. Ci furono campagne pubblicitarie discutibili (che misero ora una pompa di benzina, ora un ramo di mimosa per la festa della donna, ora un boccale di birra e il vezzoso nomignolo di “Sbronzi di Riace”, in mano ai due Greci), performance artistiche di dubbio gusto (nelle foto di Gerald Bruneau), fino chiaramente alla celebre querelle se portarli o meno a Expo 2015.

Consapevoli di tutto questo turbine di polemiche e senza scendere nel merito delle stesse, bisogna andare a toccare con mano e gustare con gli occhi quindi si parte per Reggio Calabria. Si parte ma non senza pregiudizi: ci si aspetta un museo come ce ne sono tanti, sciatto e trascurato, con le pareti scrostate d’intonaco e macchie d’umidità agli angoli e più ci si avvicina e più ci si prepara a criticare questo Sud che spesso non sa gestire il proprio patrimonio, al punto da far dubitare di meritarlo. Si entra così, si esce con un leggermente amaro senso di colpa nell’aver portato i soliti cliché.
Il museo di Reggio Calabria, dal nome non proprio facile da memorizzare (MarRC: Museo Archeologico Regionale di Reggio Calabria), inaugurato un paio d’anni fa a Palazzo Piacentini, blocco in puro stile fascista a pochi passi dallo splendido lungomare, lascia senza parole. Il Museo folgora subito e lo fa in senso letterale: passare dalla razionale facciata fascista all’atrio, fa già un certo effetto. Si resta abbagliati dalla luce che inonda la grande sala della biglietteria (effetto un po’ British Museum per intenderci, ma in piccolo!). Biglietto 8 euro, il mercoledì 6. Purtroppo non sono disponibili né audioguide né materiale cartaceo come brochure o mappe ma il sito del museo, inaugurato lo scorso giugno, offre ampio materiale a una facile consultazione. Punto debole: in un angolo di questa enorme sala, quattro timide panche ad accogliere i turisti interessati a vedere il video (in italiano con sottotitoli in inglese) che sarebbe anche fatto bene se solo si sentisse nel brusio dei gruppi in entrata e solo si vedesse in quello che è più un grande televisore che uno schermo, messo tra l’altro in piena luce. Forse si seguirebbe meglio in una silenziosa saletta al buio. Si procede, guidati dal personale gentilissimo che sfodera quella fierezza delicata tipica di chi vuol mostrarti il tesoro che custodisce. Si procede così dall’alto verso il basso, dal secondo piano che ospita la preistoria, al primo piano e all’ammezzato con la Magna Grecia fino al pianterreno per ammirare i Bronzi. Tutto curato nel minimo dettaglio e all’avanguardia: allestimento museografico e scelte museologiche, impianti di climatizzazione, illuminazione generale e dei reperti, info point a ogni piano e materiale informativo facilmente consultabile, grazie a didascalie e pannelli cartacei ma anche a schermi touch da cui consultare video, dedicati alle ricostruzioni di architetture o a processi produttivi come la ceramica. Tutto in tre lingue, inglese, italiano e linguaggio dei segni (LIS): grazie ai QR Code disseminati accanto alle didascalie delle opere l’utente può accedere a contenuti multimediali dal proprio smartphone o dagli schermi touch in ogni sala.
I reperti sono tanti ma è un museo che si lascia conoscere bene, che mette in risalto i pezzi imperdibili e accompagna a una visita piacevole scivolando da una sala all’altra. Infine, i Bronzi.
Suspance nell’attraversare il sistema di areazione (simile a quello dell’Ultima Cena a Milano) -bisogna sostare tre minuti in una “sala filtro” – che consente l’accesso alla sala espositiva. I due Bronzi dall’identità sconosciuta si stagliano in tutto il loro splendore in uno spazio che li lascia effettivamente protagonisti. A parte le basi antisismiche di ultima generazione, nient’altro. Qui ognuno tragga le sue conclusioni e emozioni ma appare chiaro come la bellezza e l’arte valichino intatte i secoli.
Li si contempla (in teoria per un massimo di venti minuti, in realtà dipende, sensatamente, dal numero di visitatori) e si riesce dalla stessa grande sala da cui si è entrati.
Si va via stanchi ma soddisfatti dal MarRC, un po’ imbarazzati per essere entrati coi pregiudizi sui musei di questo Meridione che tanto spesso merita critiche feroci ma che talvolta, come in questo caso, riesce a sorprendere e a dare speranza per il suo patrimonio culturale.