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31/07/2014 11:32

Buttafuoco presenta il suo libro a Scicli

Il 13 agosto

di Redazione

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Pietrangelo Buttafuoco
Pietrangelo Buttafuoco

Scicli – Mercoledì 13 Agosto alle 21.30, nel cortile del Carpentieri (via Mormina Penna), Giuseppe Pitrolo dialogherà con Pietrangelo Buttafuoco sugli ultimi libri di questo: Il dolore pazzo dell’amore e Buttanissima Sicilia. Dall’autonomia a Crocetta tutta una rovina (Bompiani). Presentiamo qui una scheda su Buttafuoco
Pietrangelo Buttafuoco, originario di Agira e Leonforte, nato a Catania nel 1963, è giornalista e scrittore. Francesco Merlo lo ha definito un “intellettuale irregolare, un giornalista di destra che spesso vota a sinistra e si è fatto letteralmente licenziare da ‘Panorama’ pur di non modificare i giudizi negativi sulla destra”. Per Ferroni: è un “normanno-saraceno, anzi saraceno-normanno”, un “polimorfico intellettuale siciliano”. Nipote dell’ex parlamentare dell’MSI Antonino Buttafuoco, dopo la laurea in filosofia, Buttafuoco comincia la sua attività giornalistica al Secolo d’Italia. Lavora per alcuni anni al Foglio di Giuliano Ferrara, prima di approdare nel 2004 a Panorama.
Nel 2005 pubblica per la Mondadori il romanzo LE UOVA DEL DRAGO, spy story ambientata in Sicilia fra il 1943 e il 1947: “Ogni avvenimento reale è stato trasfigurato seguendo il canovaccio di un falso storico, e molti dei personaggi portano i nomi delle marionette dell’Opera dei pupi, per fare di questa storia vera un teatro”. Nel 2006 realizza su LA7 Giarabub. Il 18 maggio 2007 viene nominato presidente del Teatro Stabile di Catania. Nell’estate del 2007 conduce su LA7, in coppia con Alessandra Sardoni, la trasmissione Otto e mezzo.
Nel 2008 per Mondadori esce il secondo romanzo, L’ULTIMA DEL DIAVOLO “thriller teologico”, pastiche, divertissment, in cui si parla della vicenda del monaco cristiano Bahira, che secondo una leggenda avrebbe riconosciuto nel giovane Maometto i segni del carisma profetico. Sempre nel 2008 esce CABARET VOLTAIRE, un saggio sul rapporto tra Islam e Occidente edito da Bompiani. Nel 2009 pubblica il volume “FÌMMINI”. Dal 2011 conduce su Rai5 la trasmissione “Questa non è una pipa”, dedicata all’ermeneutica dei nuovi “miti d’oggi”, dal telefonino al kebab all’ipermercato etc… Nel 2011 pubblica per la Bompiani il romanzo “IL LUPO E LA LUNA”, “cuntu” sulla vita di Scipione il Cicalazadè, conosciuto nel mondo d’Oriente come Sinan Pascià e, in Occidente, nella sua Messina, come il Rinnegato. Dal 2012 scrive anche per La Repubblica. Si dimette dalla presidenza del Teatro Stabile di Catania. In seguito all’articolo “Il dizionario dei destrutti” pubblicato il 4 dicembre 2012 su La Repubblica viene sospeso da Panorama. Dal 2014 è ospite fisso del programma di Giovanni Minoli “Mix24” in onda su Radio24.
Non ama cantare in coro. Afferma Matteo Sacchi: “Il suo modo di fare il giornalista, lo scrittore, e se del caso il conduttore di programmi televisivi, è caratterizzato dal pensare molto senza mai pensarsi troppo addosso”.
Ama Guenon, Battiato, Sciascia, Ibn Hamdis, l’Islam, il Mediterraneo, passeggiare sul litorale ibleo.
Adora gli aneddoti narrati da Salvo La Porta (gentiluomo di Leonforte), Francesco Merlo (gentiluomo di Parigi) e Baldo Licata (gentiluomo di Padova). Ha scritto: “la prossima élite, sarà la prima a essere costituita da professionisti, parlamentari, giornalisti e dirigenti d’azienda che nella loro vita non avranno mai letto Dostoevskij. E sarà una tragedia”.
Odia gli “enti mangiasoldi” e i privilegi dell’Autonomia Regionale.
E’ un siciliano ingiustificatamente sentimentale.
Il dolore pazzo dell’amore “offre canti di un unico canto, un cunto che è un tuffo nel passato dell’autore, imbevuto innanzi tutto delle tradizioni della sua terra, la Sicilia, restituite con passione di antico cantastorie, per cristallizzare quelle storie, quei canti, e farne la rappresentazione di un mito sopravvissuto ai tempi bui del mondo. Ecco leggende e personaggi che emergono da quei luoghi e da quel tempo: le preghiere che portano doni e dolcetti; i diavoli, gli angeli, i re, le ninfe, le regine e i vescovi… Canti di un unico canto. Raccontati al modo dei cantastorie, forgiati sulla viva carne della memoria popolare, questi pezzi fanno della voce narrante l’orchestra di un mondo, il mondo che vive nell’emozione di paesaggi sazi di grano e di demoni. O, al contrario, nella risata di tipi tanto eccentrici quanto gravi di coerenza”.
Scrive Merlo: “ Il racconto di formazione sentimentale di Buttafuco getta polvere di erotismo sulla sapienza orale delle comari siciliane, insaporisce i fichi d’India con una spezia esotica che Pietrangelo chiama Islam, rende epica la desolazione di Leonforte e Agira che sono, tutti e due, per ubiquità poetica, i luoghi dove è nato”. Buttafuoco è “il continuatore dell’opera di un genio quale fu Giuseppe Pitré, prode raccoglitore di novelle nei territori siculi” (Ferroni): infatti fa intrecciare le tante microstorie, i tanti aneddoti esemplari di una Sicilia poco raccontata in questi anni: la provincia viene presentata come metro per misurare il mondo, per opporsi all’omologazione.
Per Alessandro Gnocchi “Il dolore pazzo dell’amore” è “un qualcosa di radicalmente diverso nell’ambito della narrativa italiana”. Annalena Benini si chiede: è “autobiografia cantata”? “autobiografia amorosa”? è teatro? cuntu? poesia? che genere è? E’ qualcosa di inedito che si inserisce a pieno titolo nella vocazione sperimentale della letteratura siciliana, dai poeti di Federico II (che rifacevano i provenzali in siciliano), a Verga, Pirandello, Pizzuto, Consolo, etc…
E sicuramente, scritto a 50 anni, è un sorta di primo bilancio. Un libro per ricordare, per mantenere l’ identità.
Perché “Il mondo di ieri non è ricordo, è lievito. Sano, solido e vivificante”:

LE FRASI
“Durava, durava la Messa. Ma non tanto quanto la faceva durare padre Marotta. Quasi due ore di messa nella chiesa di San Tommaso perché, per un specie di nevrosi, padre Marotta ripeteva due volte tutte le preghiere. E si segnava il doppio. Sempre doppi segni di croce”.
“Anche i santi sono da mettere in castigo. Sono santi, è vero, ma quando stanno in cielo si prendono tutta la beatitudine del Paradiso e si scordano del proprio dovere, che è confortare gli uomini e lavorare per loro… E sono da mettere in castigo, sì, ma nella misura del rispetto, perché noi abbiamo l’emicrania mentre loro, soavissimi, hanno il cerchio di luce dietro la testa.
Mia nonna, nonna Maria Venera, faceva così: metteva faccia al muro il santino incorniciato di Sant’Antonino, che è il santo di famiglia. E per giunta gli spegneva il lumino. Tutto questo fino a quando il santo, muovendosi da Padova per venire a Leonforte, non avesse risolto il tutto da lei richiesto”.
“Fino agli anni ’70 del secolo scorso un adolescente poteva condividere il bagaglio culturale e sociale di almeno tre generazioni a lui precedenti”.
“Sabbenedica zio Nunzio, ma vossia non è sposato? Sissì, sono sposato. Ma non fitto fitto”.
“Non lo conoscevate, vero, quest’uso di succhiare un fiore di gelsomino e poi baciare? Non è altro che un gioco vano l’amore senza un giardino dove spartirsi, labbra su labbra, la rugiada”.
In Sicilia “al passaggio di una sottana, anche le pietre sudano”.
“All’amore bisogna credere, sempre. Anche quando ci fa pazzi di dolore. ( …) E’ tutto un giocare sulle montagne russe: ebbrezza e poi giù verso i dubbi, anzi la certezza di essere più che dimenticato. È una giostra conclusa”.
“Mi sono fatto un pianto di pazzo amore”.