Lo scrittore: «Polizia, ricatti: vedi il caso Ruby. Montalbano tornerà»
di Redazione

Roma – Una storia d’Italia intrecciata ai padri dei padri e ovviamente tinteggiata di giallo come si conviene a un film, anzi al primo film tirato fuori dalle pagine di Andrea Camilleri e portato sul grande schermo da Rocco Mortelliti in questo «La scomparsa di Patò», presentato al Festival tra gli eventi speciali e pensato da dieci anni, giorno più giorno meno dal genero di Camilleri.
Come mai? «Dieci anni fa molti mi chiedevano perché non girassi un romanzo dalle pagine di Andrea. Ho letto le bozze di questo “La scomparsa di Patò” e ci ho messo 10 anni non per sceneggiare ma per raccordarmi con i produttori che volevano se ne facesse una fiction in 2 puntate invece che un film. Purtroppo ormai quando si parla di Camillleri tutti vogliono il solito Montalbano».
«E’ un vero ricatto- sottolinea Camilleri- Montalbano mi ha inchiodato a sè, ogni volta che scrivo su di lui il libro schizza in classifica, mentre quando scrivo qualcos’altro resto al quinto-sesto posto, interesso poco. E’ il mio personaggio odiato-amato ma non lo abbandono, tornerà in tv con una nuova serie sempre con Luca Zingaretti e in un nuovo film, “Il giovane Montalbano” diretto da Tavarelli e interpretato da Michele Riondino».
E, a proposito di ricatto, ha qualcosa da dire sull’oggi: «I giornali si interrogano sul perchè i funzionari della Questura di Milano abbiano agito come hanno agito nel caso della minorenne Ruby che sarebbe stata aiutata dal premier. I due funzionari nella storia di Patò non ricevono una telefonata ma devono obbedire agli ordini dei superiori che a loro volta li ricevono dal sottosegretario. Io non amo molto la tesi di Tomasi di Lampedusa ma si finisce per dargli ragione, cambiamo tutto per non cambiare niente». Intanto i riflettori sono, però, per «La scomparsa di Patò» con attori scelti da subito. Sapevo per esempio dall’inizio che il personaggio del maresciallo Giummaro sarebbe stato di Frassica.
Gli ho mandato un messaggio un bel po’ di tempo fa, scrivendo «un giorno lavorerai con me». «Anche a me è arrivato un messaggio del genere, solo che non sapevo neppure chi fosse a mandarlo. Comunque qui ho lavorato sempre sulla sottrazione. E poi il mio personaggio ama molto le donne e io, per farlo, mi sono ispirato a un noto personaggio pubblico italiano di cui non c’è bisogno di fare il nome.
E poi la struttura forte mi ha dato la possibilità di improvvisare anche se sembra assurdo, è così» dice Neri Marcorè, lo scomparso Patò della situazione. «Io, invece, non ho ricevuto nessun messaggio ma quando ho recitato ho lavorato come dentro una scatola contenitiva perché alla fine mi è stato offerto un personaggio molto scritto, non c’era da improvvisare, solo da fare entrare noi stessi dentro un solido contesto» scherza Maurizio Casagrande. Il tutto costruito su una sceneggiatura di ferro di cui Maurizio Nichetti, che la firma insieme a Mortellini e allo stesso Camilleri, dice: «Non è facile tradurre un libro del genere in sceneggiatura cinematografica, per me è stata un’occasione di lavorare con un regista che ci tiene alla scenografia, ai costumi, di lavorare su un grande romanzo storico, di interpretare dentro un disegno di storia in cui nulla è affidato al caso, qui è tutto scritto, tutto pensato, tutto programmato perché il romanzo è ad orologeria».
Ma che contributo ha dato Camilleri magari in veste di consulente e non solo di sceneggiatore? «Quando abbiamo pensato a qualcosa da togliere o aggiungere o , comunque, modificare, il regista chiamava Camilleri e lui diceva “si” o “no”» risponde Frassica. Ma, aggiunge Casagrande, «Camilleri ha una visione molto ironica e ci ha aiutato a rendere il tutto divertente quanto basta».
E principesco secondo Alessandra Mortelliti che è la signora Patò: «Sono stata trattata come una principessa e sul set è stato un rapporto tra regista e attrice e non tra padre e figlio e , dunque, non ci siamo scazzati quasi mai. Diciamo che lui mi ha detto , netto e crudo, ciò che dovevo fare e io l’ho fatto». Ha eseguito e appassionatamente anche Guia Jelo che confessa: «Al di là del rapporto amichevole col regista non posso negare che di questo piccolo e succoso ruolo mi ha attratto il contagio che ha con la vedova La Pecora del “Ladro di merendine”, mi sono sentita ancora attrice per Camilleri e, siccome, al suo Montalbano devo molto della mia carriera per me è sempre un onore.
E poi mi sono divertita un mondo a fare la zozza laida e a ripetere “A me casa?!”».
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