di Redazione string(0) ""

Il Meridione è quello di Tomasi di Lampedusa e De Roberto, la Sicilia di allora quando, dopo l´Unità d´Italia e l´inizio del nuovo Stato, sembrava che tutto dovesse cambiare. Di diverso c´è lo sguardo ironico e disincantato di uno scrittore dei nostri tempi, uno che sa come è poi andata a finire e col gusto del racconto e una lingua fervida, svela sogni, trame, vendette, rancori di classe in una folla di personaggi, i soliti abitanti di Vigata ma un secolo e mezzo prima del Commissario Montalbano.
Andrea Camilleri stavolta è a teatro: uno dei suoi romanzi più divertenti, Il birraio di Preston, debutta, a dieci anni da una prima messa in scena, martedì 6 a Catania dove il Teatro Stabile festeggia i 50 anni di attività. Il regista è sempre Giuseppe Dipasquale; gli interpreti sono Pino Micol, Giulio Brogi, Mariella Lo Giudice, Marcello Perracchio (il dottor Pasquano del Montalbano tv); la storia «un esemplare caso sulla contrapposizione tra potere e cittadini», dice Andrea Camilleri, gentile, pieno di forza, da ragazzo ultraottantenne, continuando a fumare. Tra poco pubblicherà il nuovo Montalbano, “La tana delle vipere” (Sellerio); qui ha voluto firmare (col regista) l´adattamento del romanzo per il teatro che è un suo grande amore: da quando era responsabile prosa della Rai con Roberta Carlotto e prima ancora quando, giovane e coraggioso, portò per la prima volta in Italia alla fine degli anni Cinquanta, Beckett dopo essere stato allievo dell´Accademia di teatro Silvio d´Amico. «Ero un giovane scrittore. All´Accademia c´era una borsa di studio e mi dissi: se la vinco mi piazzo a Roma, mi metto in un giornale e frequento l´ambiente letterario. Però mi imbattei in Orazio Costa, il regista, l´unico vero maestro che conosco, il quale prese il mio cervello e lo dirottò sul teatro».
È vero che dall´Accademia però la cacciarono?
«Un fatto disciplinare. Mi sorpresero con una ragazza dove non avrebbero dovuto: dentro un convento. Uno scandalo inenarrabile. Ma continuai a collaborare con l´Accademia. Fino al ‘77 non ho scritto un rigo perché ero troppo preso da teatro e tv».
Il Birraio è del ‘95 e, come la Concessione del telefono altro romanzo portato in scena a Catania, è legato a un fatto storico reale.
«Sì, un fatto successo a Caltanisetta, non a Vigata come nel romanzo… «.
Già, perché si è inventato questa città, Vigata?
«Agli inizi, quando mi sentivo una botte che aspettava di essere stappata pensavo a Faulkner, alla sua contea immaginaria. Vigata è una città ladra, prende i fatti e li fa accadere. È la Sicilia. Oggi Montalbano, ieri, il prefetto Fortuzzi (Bortuzzi nel romanzo) impuntato a inaugurare il teatro Regina Margherita con quest´opera “Il birraio di Preston”, senza una ragione plausibile al mondo tanto che finisce a schifìo. Un fatto interessante per il contrasto tra potere e libertà del cittadino, con tutta la tracotanza di chi comanda».
Ma almeno qui, l´esercizio di potere vola alto: per fare un´opera lirica, non per sistemare la propria amichetta…
«Non c´è dubbio. Ma erano altri tempi. Io vengo da una generazione coinvolta col fascismo, siamo vissuti in anni di arte imposta. Era questo che mi girava in testa quando scrissi il libro. Oggi non so se me la sentirei di incentrare il romanzo su un´opera lirica».
Lei scrive al passato per parlare del presente. Per dirci cosa?
«Sì, tutti i miei romanzi, tranne uno, “Il re di Girgenti”, sono storici, ambientati dopo l´Unità di Italia, perché lì scoppiò il bubbone».
Che bubbone?
«Il modo in cui viene trattato il sud. Io sono convinto che i nostri nonni fecero parecchi errori nell´attuazione dello Stato unitario, errori che ci portiamo ancora appresso, a partire dal divario nord-sud. Prima dell´Unità il sud non stava male: in Sicilia avevamo 8mila telai in funzione chiusi nel giro di tre anni per favorire le industrie biellesi. E per questo che insisto su questi argomenti».
Oggi però ci dicono che prioritaria è la “questione del nord”.
«Ma mi dica lei qual è la nazione al mondo che può concepire di lasciare a se stessa una parte di se stessa. Chi l´ha detto che il sud non debba riprendersi. Ci sono segni. Io che sono di sinistra ho applaudito alla Confindustria Sicilia che ha espulso dalla sua associazione chi paga il pizzo. Incenerire alla radice questi slanci sarebbe un errore. Anche perchè la mafia, è assodato, non è un fatto solo siciliano».
A proposito di sinistra, che ne dice di questa crisi in atto?
«Ci vorrebbe un ricambio totale. Solo i politici hanno questa faccia di riproporsi dopo sconfitte e errori. Spero in una nuova generazione…. E che arrivi prima che stravolgano la Costituzione».
Preoccupato?
«Sono abbastanza vecchio per ricordare che l´Assemblea Costituente discusse per mesi per non rischiare un accentramento di potere che è quello che Berlusconi vuole. Non mi stancherò mai di dire che lui non è un politico di destra ma una anomalia. Questo signore possiede la casa editrice presso cui talvolta io pubblico, quattro tv, giornali e affiliati, assicurazioni… Da primo ministro qualunque cosa faccia, anche non volendo, torna a suo favore. Mi fa rabbia che il conflitto d´interesse sia ormai dimenticato».
Fiorello direbbe che le fa venir voglia di accendere una sigaretta.
«Ho già sei cicche davanti a me»
Quante ne fuma?
«60 al giorno, ma in realtà 15 perchè faccio tre tiri e poi spengo. È la tasca che me risente più della salute. Io poi sono un dissuasore di fumatori. L´altro giorno ho visto un mezzo bambino che sfumacchiava, come un vecchio rincoglionito gli ho detto: “cosa fumi? non ti vergogni?” e avevo la sigaretta accesa, infatti lui mi fa: “perché? Tu non stai fumando?”. “Ma ho 83 anni”. “E io spero di arrivarci”, mi ha risposto. Battuto 1 a 0».
di ANNA BANDETTINI da www.repubblica.it
© Riproduzione riservata