La brutta figura di Pippo Baudo
di Giuseppe Savà

Roma – Nel 1985 il quotidiano la Repubblica chiese a Beniamino Placido, grande intellettuale esperto di letteratura americana, di stare per 8 anni chiuso in casa a guardare la Tv e a recensire le trasmissioni televisive.
“A parer mio” era la rubrica giornalistica di critica televisiva più temuta: da Raffaella Carrà a Renzo Arbore, da Bruno Vespa a Corrado, tutti avevano paura degli articoli divertentissimi, ironici, pieni di riferimenti culturali, trancianti di Beniamino. Nei suoi pezzi c’erano Charles Dickens e Dante, l’Ecclesiaste e Topolino. Era divino. Io avevo 12 anni e riuscivo a impararli a memoria.
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Bene, accadde che Pippo Baudo comprò casa a Roma nello stesso isolato di Placido. I due seppero di essere diventati vicini e un giorno si incrociarono nel quartiere: Baudo il volto televisivo più noto, Beniamino la firma giornalistica più temuta. I due fecero finta l’uno di non conoscere l’altro. Si guardarono dritti negli occhi ignorandosi. Svoltato l’angolo, ebbero la stupida idea di fare il giro dell’isolato per scoprire dove abitasse l’altro. E si trovarono dalla parte opposta dello stesso stabile a sbirciare dietro l’angolo. Scopertisi nel loro gesto stupido, scoppiarono a ridere e si abbracciarono.
Era il 1997 e in viale Gorizia a Roma incontrai un uomo affaticato con due pesanti borse della spesa nelle mani. Era Beniamino. Mi emozionai tantissimo, lui mi vide in estasi senza capire. Trovai il coraggio di fermarlo: “Posso aiutarla a portare la spesa?” Mi guardò incredulo. “Leggo i suoi articoli da quando avevo 12 anni”.
“Grazie, che fai qui? Sei siciliano?”. Camminammo un po’, mi chiese un po’ di cose sulla mia vita di studente fuori sede, arrivammo sull’uscio della sua casa, poco distante, gli lasciai le borse.
“Giuseppe, ma tu scrivi?”.
“No, professore, io studio…”
“Scrivere è la migliore cura. Un giorno scriverai”.
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