I sindacati: «Serve un'intesa produttori-grande distribuzione»
di Redazione
Palermo – Sulle qualità organolettiche del pomodorino di Pachino Igp non ci sono dubbi. Neppure Alessandro Di Pietro che dalla trasmissione “Bontà loro” di Maurizio Costanzo ha lanciato l’appello ai consumatori di boicottarne l’acquisto – scatenando una durissima polemica – si azzarda a contestare l’unicità di un prodotto che è un “must” dell’agricoltura siciliana d’eccellenza. Il nodo, semmai, è la filiera, che secondo Di Pietro sarebbe, anche in base alle dichiarazioni del procuratore nazionale antimafia Pietro Grasso, in mano alla criminalità mafiosa con un aggravio, a causa dei costi di trasporto tra Sud-Nord e viceversa, di almeno undici volte del prezzo – 50 centesimi di euro – pagato ai produttori.
Analisi condivisa da Fabio Moschella, vicepresidente di Cia Sicilia, il quale sottolinea che «di tutto ciò i produttori agricoli sono le prime vittime come lo sono, d’altra parte, i consumatori». A monte le indagini – citate da Grasso nell’intervista a Di Pietro – sulle infiltrazioni mafiose nella gestione del mercato di Fondi; la logistica della distribuzione che – ricorda Moschella – «è strutturata quasi tutta al Nord dove operano pressoché tutte le piattaforme della Gdo» e infine il settore dei trasporti che «è attraversato da infiltrazioni criminali come confermato da innumerevoli inchieste. La logistica Nord-Sud – aggiunge – è quanto di più anacronistico possa esistere in un paese moderno ed è su questa arretratezza che si innestano le presenza criminali».
Di qui la necessità di accorciare la filiera, come ripete Salvo Tripi, segretario generale della Flai Cgil siciliana, perché «ne trarrebbero vantaggio sia i produttori, in termini di maggior reddito, che i consumatori che avrebbero un prodotto a prezzo più contenuto». La soluzione suggerita è quella «dell’associazionismo tra produttori e degli accordi con la grande distribuzione» visto che «il sistema vigente penalizza soprattutto i piccoli produttori». Poi, come denuncia Tripi, c’è il problema, nell’area di produzione del ciliegino, di «irregolarità del lavoro e di sottosalario» che coinvolge oltre un migliaio di immigrati e di irregolari. Per questo motivo chiede che «l’etichetta Igp, oltre al luogo d’origine, specifichi che il pomodorino è stato prodotto nel rispetto delle leggi sul lavoro e dei contratti. Che non si possa insomma parlare – sottolinea Tripi – di prodotto di qualità se non c’è un lavoro di qualità. In caso di ‘regolarità’ si lavora in genere 8 ore al giorno con una paga di 41 euro contro le previsioni del contratto di 52 euro al giorno per 6 e mezza di lavoro».
Una certificazione di qualità connessa ad una di eticità. «Quella – ricorda Pino Gullo della Legacoop – siglata Iso Sa 8000 e che significherebbe la regolarità e la legalità di tutta la filiera. Dobbiamo dire basta alle cosiddette cooperative di lavoro senza terra intestate a residenti all’estero oppure ad ottantenni non perseguibili. In apparenza è tutto in regola, anche per la posizione Inps dei lavoratori. Nella realtà, l’Istituto di previdenza, è stato accertato, tra il 2004 e il 2008 si è ritrovato con un buco di 600 milioni di euro».
È vero, rileva Gerardo Diana, presidente della Confagricoltura siciliana, però «non si può fare di tutte le erbe un fascio, poiché il ciliegino Igp è oggi sinonimo di qualità in tutto il mondo, un prodotto realizzato nel pieno rispetto della legalità e degli standard internazionali». E questo nonostante «un’incessante crescita dei costi di produzione che non ha riscontro nell’andamento dei prezzi di origine».
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