Due giorni prima di morire una mostra in piazza
di Antonello Lauretta


Comiso – Due ruote di trattore, una grande, quella posteriore, l’altra piccola, quella anteriore, rivestite di lamiera, ferro e piombo, rese ancora più lucide dal sole di luglio in una piazza Fonte Diana dove le basole in pietra bianca locale abbagliano anch’esse. Sono l’ultima opera scultorea partorita dalla fantasiosa mente di Luigi Rabbito, pittore e scultore del caos moderno, dal titolo “Ruota”. Un titolo solo provocatorio e solo apparentemente banale e ovvio perché va inteso come imperativo del verbo ruotare, quindi una esortazione esplicita e perentoria al movimento. L’arte, per Rabbito, è provocazione e specchio del tempo presente. La sua vena artistica si è estrinsecata dapprima nella pittura.
Rabbito, nel suo primo “atelier” di via Fosse Ardeatine ha avuto come riferimento la pittura degli anni ’50 e ’60 di quegli autori che hanno sviluppato il concetto di arte materica. Dal 2000 in poi l’artista comisano si è cimentato con la materia pittorica rapportata all’immagine figurativa del paesaggio sia naturale sia urbano, prevalendo prepotentemente quest’ultimo. L’arte di Rabbito è fedele all’occhio che coglie la realtà presente. Nei suoi quadri e, da ultimo, nelle sue sculture non c’è posto per l’idillio o la visione manieristico-elegiaca di un paesaggio che è sempre più grigio, arido, caotico, a volte finto. Per Rabbito non è neanche il caso di rifugiarsi dunque nel sogno, utilizzando l’arte come garbato monito a non violentare il mondo e la natura, anzi. L’arte diventa essa stessa uno strumento, quasi un mazzuolo, per vibrare colpi che possano scuotere e riplasmare le coscienze sopite degli uomini. Nell’ultimo decennio, le tele di Rabbito si affollano quindi di automobili, ingorghi giganteschi, trattori, leve meccaniche, tram superaffollati che come isole informe e raccapriccianti affiorano dal traffico cittadino, perfino il logo di una nota marca di idrocarburi affiancato a un escavatore, simbolo del consumismo dei nostri giorni.
In questa foresta meccanica immaginata da Rabbito, l’uomo si percepisce in tutto la sua miope e piccola mania di grandezza. L’uomo, infatti, è il protagonista invisibile eppure così palpabile del caos moderno: il groviglio meccanico rappresentato dall’artista comisano non esiste in natura ma è prodotto dalle attività umane e, tale prodotto, diventa materia di uso quotidiano, senza ritegno, senza parsimonia, senza logica. La scultura presentata ai comisani in anteprima in piazza Fonte Diana, per sole due ore e senza tanti clamori, ma semplicemente messa in vista a uso dei passanti prima di essere inserita in una mostra che aprirà i battenti prossimamente al complesso Ciminiere a Catania e poi anche a Milano, si muove in questo solco. Rabbito trasferisce la sua protesta contro il consumismo egoista dei nostri giorni dalla tela alla materia plastica.
La Sicilia
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