Economia
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19/09/2007 02:16

Confeserfidi: la crisi dei subprime influenza il credito alle imprese

di Redazione

Parlare di confidi oggi è diverso rispetto a tre mesi fa. Che cosa è accaduto tra giugno e settembre?
E’ scoppiata la crisi dei subprime, un mercato di 1.300 miliardi di dollari, che copre il 15-20% delle consistenze di mutui residenziali negli USA. Più ancora degli effetti diretti e conclamati, preoccupa l’incertezza sulla reale portata di questa crisi. Si teme che il peggio debba ancora manifestarsi. E’ l’idea di Confeserfidi, il Consorzio di cui è a capo il dottor Bartolo Mililli.
Che cosa ha a che fare la crisi dei subprime con i confidi italiani? Non ci sono connessioni dirette, né di tipo geografico, né settoriale. Ci sono però dei meccanismi di trasmissione che operano nei mercati finanziari globalizzati, dove i capitali ed i rischi si trasferiscono con rapidità impressionante, tanto che è sempre più difficile per le autorità di controllo tracciarne la distribuzione tra regioni e operatori.
Gli aumenti dei tassi interbancari che stiamo osservando sono frutto di questa incertezza (ciò penalizza le imprese). Le banche sono restie a prestare denaro ad altre banche, non sapendo quali saranno i rating delle loro controparti fra tre mesi, né le esigenze di liquidità che loro stesse avranno. Ci sono in giro esposizioni enormi in titoli strutturati emessi da veicoli che hanno investito in mutui subprime, finanziandosi con titoli CDO e commercial paper. La maggior parte di quelle esposizioni non sta sui bilanci delle banche, ma ci potrebbe finire se si prosciugasse la liquidità di questi mercati, che costringerebbe le banche ad intervenire per evitare un crollo delle quotazioni che avrebbe effetti disastrosi. Per fortuna, il livello di esposizione delle banche italiane appare finora marginale.
Il presidente della Federal Reserve, Ben Bernanke, ha recentemente affermato che l’aumento dei credit spread che stiamo osservando da luglio è un fenomeno atteso e al limite salutare, che corregge i livelli esageratamente bassi degli anni recenti, prodotti da liquidità troppo abbondante e atteggiamenti verso il rischio spesso incauti. La maggiore conseguenza da temere è dunque l’innalzamento generalizzato del prezzo del credito.
La crisi dei subprime produce poi delle conseguenze specifiche, che hanno a che fare con due strumenti che fino a ieri guidavano come fari la rotta dei sistemi di garanzia verso il futuro: il rating e la cartolarizzazione.
La credibilità delle agenzie di rating ha vacillato sotto i colpi della crisi dei titoli strutturati emessi a fronte di subprime, i famigerati CDO. Le agenzie negli ultimi cinque anni hanno tratto da questo mercato quasi la metà del loro fatturato per emissione di rating, oltre a generare ricavi collaterali per le loro divisioni di consulenza. Solo l’1% delle emissioni è stata finora declassata, si sono difese così le principali agenzie per provare la correttezza della maggior parte dei giudizi espressi. I mercati non sono stati altrettanto cauti, e si è assistito a cadute brusche delle quotazioni di questi titoli, e all’aumento drammatico degli spread sulle nuove operazioni.
La fiducia nei rating esterni riceve questo scrollone proprio alla vigilia dell’entrata in vigore delle regole di Vigilanza basate su Basilea 2, che riconoscono ai rating esterni validità a fini normativi, e in forza di questo riconoscimento abbattono i requisiti di capitale per le classi di rango più elevato.
Non sta andando meglio per la cartolarizzazione, che è la tecnica su cui si basano i titoli CDO. La crisi del mercato subprime ha messo in questione l’efficacia di questo meccanismo di impacchettamento e cessione del rischio. I mercati hanno creduto per cinque anni alla magia della cartolarizzazione, alla sua capacità di trasformare crediti appena accettabili in esposizioni tripla A, grazie al supporto di tranche subordinate che assorbono i rischi di prima perdita. La formula magica di queste strutture è contenuta in modelli di portafoglio che calcolano la probabilità di incidenza delle perdite future, e quindi le percentuali di subordinazione necessarie per raggiungere certi rating sulle tranche senior.
Questi modelli lasciano però dei rischi nascosti, e primo fra tutti la correlazione tra insolvenze, che è schizzata verso l’alto tra i mutuatari subprime per l’effetto congiunto dell’aumento dei tassi e della caduta del valore delle case date in garanzia. Gli ingegneri finanziari hanno poi disegnato strutture dei CDO a scatole cinesi, che hanno aggiunto livelli di
complessità lasciando alle banche arranger molte leve per regolare a loro piacimento i rating risultanti.
Le ombre allungatesi sul rating e sulla finanza strutturata coinvolgono anche il credito alle Pmi e quindi i confidi (e quindi le imprese). Nella lunga marcia di avvicinamento a Basilea 2, ci si era convinti, e lo abbiamo ricordato prima, che fosse proprio la cartolarizzazione la strada più efficace per offrire prestiti alle Pmi con bassi assorbimenti di capitale normativo e il massimo effetto leva dei fondi di garanzia. La fiducia in queste soluzioni innovative ora vacilla, e riprendono vigore gli argomenti a difesa della conservazione dello status quo. La strada verso il nuovo è ancora di più un percorso in salita.
Il cammino però non si ferma. Basilea 2 rappresenta un passaggio migliorativo rispetto all’attuale regime di Vigilanza, e non è pensabile oggi una marcia indietro, né la messa a punto di alternative.
Non ignoriamo il fatto che il mercato della finanza strutturata soffre, in tutti suoi comparti, della crisi dei subprime. Tuttavia, le esperienze di cartolarizzazione dei prestiti alle Pmi non meritano di essere buttate via, come il bambino con l’acqua sporca, perché si sono comportate bene finora, in Europa e in Italia, grazie a strutture “pulite” e rischi trasparenti, e riprenderà a crescere appena il mercato avrà riportato sotto controllo i focolai di crisi.