Cronaca
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24/08/2021 18:54

Vanessa, i colleghi fanno quadrato attorno al gip: “Non è colpa sua”

Il capo dei giudici: “Il killer poteva evadere anche dai domiciliari, impossibile prevedere l’imponderabile”

di Redazione

Vanessa, i colleghi fanno quadrato attorno al gip: “Non è colpa sua”
Vanessa, i colleghi fanno quadrato attorno al gip: “Non è colpa sua”

 Catania – “Non mi sento di contestare alcuna colpa al collega, ha agito secondo legge: nel fascicolo c’erano anche elementi contrastanti di cui ha tenuto conto, come un primo riavvicinamento tra i due. E anche se lui fosse stato agli arresti domiciliari sarebbe potuto evadere e commettere lo stesso il delitto”. Il presidente dell’ufficio del Gip di Catania, Nunzio Sarpietro, ripete un copione stranoto adducendo le medesime giustificazioni che avevamo anticipato a proposito delle inevitabili polemiche sollevate dalla scarcerazione di Antonio Sciuto. Una misura cautelare durata poche ore per il killer che ha freddato con una esecuzione in piena regola, l’ex fidanzata, Vanessa Zappalà.

Anche il prosieguo dell’arringa avremmo potuto scriverlo noi: “E’ difficile controllare tutti gli stalker, noi emettiamo come ufficio 5-6 ordinanze restrittive a settimana ed è complicato disporre la carcerazione perché occorrono elementi gravi e, comunque, non si può far fronte ai fatti imponderabili”. Tuttavia, alla luce di com’è finita, resta indubbio che lasciarlo a piede libero si è rivelata una decisione sbagliata: almeno questo vorrà concedercelo. Una scelta presa secondo il codice e in buona fede, fidandosi di un incensurato che a parole sosteneva di essersi pentito, ma – cionondimeno – indiscutibilmente errata alla luce del tragico epilogo.

Gps nascosti nell’auto della vittime, minacce sui social, appostamenti e pedinamenti continui fin dentro casa della vittima: cos’altro doveva fare Sciuto per essere considerato un soggetto pericoloso, destinatario almeno di un braccialetto elettronico? Su quest’ultimo punto Sarpietro concorda: sarebbe utile “un braccialetto elettronico ‘out’ per l’indagato che segnali la sua presenza e, contemporaneamente, un dispositivo per la vittima che emetta segnali acustici e luminosi quando lo stalker viola la distanza impostagli dal provvedimento di non avvicinamento”. Questo perché l’azione omicida potrebbe essere repentina, e non permettere alle forze dell’ordine di intervenire.

Possibile si debba vivere una vita intera con una manetta al polso, che può accendersi e suonare in ogni momento? E qui torna il complesso discorso culturale, di educazione, da parte di psichiatri che potrebbero affiancare i giudici nella responsabilità di prendere decisioni così pesanti: “Occorrerebbero dei centri di riabilitazione – ammette il procuratore etneo Carmelo Zuccaro, titolare dell’inchiesta – con l’obbligo di frequentazione per monitorare gli stalker e tentare, nei limiti del possibile, di recuperarli dai loro disturbi alcuni dei quali legati a problemi culturali e caratteriali. Bisogna provarci, anche perché non sono pochi”. Speriamo si sbrighino, a Roma, a rivedere questo complicato capitolo, di carattere sociale più che giuridico o coercitivo. E di non dover aspettare il prossimo femminicidio per riparlarne.