Santa Croce Camerina- Negli ultimi mesi dell’anno del Signore 1604 moriva a Palermo Lucreziella, l’adorata sposa di Giambattista Celestri.
Il loro era stato un matrimonio combinato tra famiglie molto vicine e imparentate per il quale era stata chiesta al Papa la necessaria dispensa canonica.
Lucreziella aveva appena sette anni quando era stata promessa sposa a Giambattista che aveva già compiuto tutti gli studi ed era un giovanotto laureato in utroque jure, cioè in diritto ecclesiastico e in diritto civile.
La ragazza, al compimento del dodicesimo anno d’età, come da contratto accettò i capitoli matrimoniali e così furono stipulate le nozze.
Oggi meraviglierebbe questa procedura ma a quei tempi era molto frequente soprattutto tra famiglie importanti.
La dote della ragazzina era cospicua e i Migliaccio, famiglia potente e benestante di Naro ma anche di Palermo, non vedevano l’ora di accasare la propria figlioletta con quel cugino che accendeva in tutta la parentela grandi speranze.
Fu un’unione molto celebrata e anche molto invidiata. Nacquero diversi figli: Pietro, il primogenito, Giovanni, Francesca e suor Celestina al secolo Felice.
Purtroppo l’incantesimo s’infranse verosimilmente nel novembre di quell’anno 1604 quando Lucreziella improvvisamente morì lasciando affranti nel dolore marito e figli. L’inventario dei suoi beni fu redatto il 12 gennaio 1605. Giambattista vi partecipò come amministratore dei figli minorenni Giovanni e Francesca e in qualità di donatario della figlia suora.
Giambattista diede ordine a Pietro, già quasi ventenne, di immortalarne la memoria facendo erigere nella chiesa della cittadina di Santa Croce, terra per la quale il re di Spagna Filippo III gli aveva concesso il titolo di marchese, un imponente mausoleo degno di accogliere le spoglie mortali.
Oggi, sebbene un po’ malconcio per i vari spostamenti ai quali nel corso dei secoli è stato sottoposto, questo mausoleo esiste ancora, seppur ubicato in una zona della Chiesa Madre di Santa Croce Camerina a dir poco infelice.
Vale dunque la pena soffermarsi su quest’opera d’arte, perché di questo si tratta, per raccontare non solo le motivazioni che spinsero la famiglia Celestri a commissionarla ma anche e soprattutto la sua gestazione nel solco di una “moda” funeraria diffusa non solo nell’antica Contea di Modica ma in tutta la Sicilia e anche altrove.
L’11 agosto 1605 Pietro Celestri, dopo parecchi mesi dalla scomparsa della madre, si mise in contatto, dunque, con due “marmorari” di Palermo, il magister Francesco Lo Mastro e il magister Antonio Falcone. A loro chiese di abbozzare un progettino per un mausoleo da erigersi all’interno della chiesa.
Gli scultori redassero su carta quanto a loro richiesto, lo firmarono, depositarono “il modello” presso un notaio che lo controfirmò.
Fu così rogato l’atto.
Magister Franciscus Lo Mastro et magister Antonius Falcone marmorarij cives Panh/ mihi not/ cogniti presentes coram nobis una simuleque principaliter et jnsolidum se obligantes recipientes sponte se obligaverunt et obligant don Petro Celestri baroni Lalie et Turturesi eorum concive etiam et mihi notario cognito presenti et stipulanti bene et magistraliter ut decet construere et frabicare q/dam monimentum marmoreum cum deversis lapidibus diversorum colorum ad omnes eorum expensas quod monementum finitum juxta designum et modellum factum in carta sub quo est subscriptio mei notarij*
Gli scultori s’impegnavano in solido a creare il mausoleo, utilizzando marmi di diversi colori, a consegnare l’opera eseguita a regola d’arte come da disegno/progetto depositato e allegato
hic Panhormi et in eorum apoteca jnfra terminum mensium trium proxime venturorum ab hodie jn antea numerandorum aliorum et hoc pro mercede et magisterio unc/ sessagintaseptem pond/ generalis*
nel loro laboratorio di Palermo entro tre mesi dalla stipula dell’atto, quindi entro la metà di novembre del 1605, per un costo complessivo, comprensivo di materiali e mano d’opera, di onze sessantasette.
Don Petrus dare et solvere promissit eisdem obligatis stipulantibus vel persone pro eis legitime hic Panhormi jn pecunia numerata hoc modo viz unc/ viginti septem ad eorumdem obligatorem primam et simplicem requisitionem, unc/ decem in medio operis et totum restans ad complimentum consegnato monimento preditto juxta formam ditti modelli sine aliqua exceptione*.
Pietro avrebbe così pagato: ventisette onze subito a semplice richiesta; dieci onze in corso d’opera, il resto a fine lavoro dopo il collaudo.
Ma il contratto non terminava qui.
Prevedeva anche il montaggio dell’opera a Santa Croce.
Jnsuper ditti obligati jnsolidum ut supra se obligaverunt ditto don Petro stipulanti accedere ad terram Sancte Crucis ad effectum ibi erigendi dittum monimentum jtaquod dittus don Petrus teneatur dittis obligatis stipulantibus et cuilibet eorum ad rationem tarenorum sex singulo die esum et potum (cibo e bevande) quotidianum et cavalcaturas tam pro eundoque redeundo que mercedes dittus don Petrus solvere promissit eisdem obligatis et cuilibet eorum successive serviendo solviendo sine aliqua exceptione*.
Testimoni furono Simon de Silvestro e Gaspare Guardalia.
Pietro sicuramente fece imbarcare tutti i pezzi smontati in una tartana e si ha ragione di credere che lui stesso s’imbarcasse accompagnandoli per poi farli scaricare nel litorale santacrocese presumibilmente a Punta Secca. Allo stesso modo anni prima il mausoleo Naselli, anch’esso eseguito a Palermo, era stato scaricato a Cammarana, località più vicina a Comiso.
I maestri invece arrivarono a Santa Croce a dorso di mulo. Infatti, nel rogito era stato stabilito che Pietro pagasse loro due cavalcature per giungere fino a Santa Croce da Palermo e per poi ritornarvi a lavoro finito. Vitto e alloggio a carico di Pietro e per ogni giorno di lavoro Pietro s’impegnava a corrispondere loro sei tarì con la clausola “serviendo solviendo” cioè corrispondendo la mercede gradualmente a mano a mano che il lavoro fosse stato compiuto.
L’attenzione e la cura con le quali Pietro realizzò la tomba della madre ci suggeriscono la sua grande pena, quella del padre e quella dei fratelli.
Santa Croce si confermava centrale così nella vita della famiglia Celestri anche come meta ultima del riposo eterno.
Pure Pietro nel suo testamento chiederà di essere sepolto a Santa Croce.
Pochi anni dopo la morte di Lucreziella, tuttavia, un altro grave lutto devastava per sempre la vita di Giambattista Celestri e dei suoi figli.
Giovanni, il secondogenito, moriva nel 1610 all’età di circa ventitré anni, nel fiore della sua gioventù.
Giambattista, presente fisicamente all’agonia del figlio, era tuttavia assente con la mente e straziato nel cuore.
Giovanni, dopo essere stato “manomesso” cioè sganciato dall’autorità paterna per testare, compilò di proprio pugno il suo testamento solenne, lo sigillò, lo porse al padre che lo raccolse per consegnarlo al notaio.
Al notaio che chiedeva a Giambattista l’età vera del ragazzo, il Nostro diede una risposta disperatamente evasiva.
Sarà Pietro a scrivere non senza lacrime la vera età del fratello sulla sua lastra tombale.
Giovanni, per suo desiderio, aveva chiesto di essere seppellito nella tomba dei Migliaccio ubicata nella Cappella Senatoria nella chiesa di san Francesco di Palermo.
Oggi, dopo le trasformazioni della chiesa anche a seguito dei bombardamenti della Seconda Guerra Mondiale, non c’è più traccia delle tombe che prima dovevano trovarsi in quella Cappella.
Resta di Giovanni la trascrizione dell’epitaffio composto dal fratello. Ci è stata tramandata puntualmente dalla penna del Mongitore:
D. IOANNI CELESTRI, IOANNIS BAPTISTAE CELESTRI ET D.
LUCRETIAE MIGLIACCIO SANCTAE CRUCIS: MARCHIONUM FILIO
OPTIMAE SPEI IUVENI XXIII AET. ANN. VIX INGRESSO D. PETRUS
FRATER NON SINE LACRYMIS P. OBIIT AN. MDCX V KAL. APRILIS
È l’ultima commovente testimonianza della pietà di un Uomo, Pietro, che presto, a pochi anni di distanza, sarebbe stato anche lui falciato dalla morte.
*Nel testo sono state rigorosamente mantenute la forma latina e anche le abbreviazioni presenti nel documento.
Si ringrazia la Direttrice dell’Archivio di Stato di Palermo, D.ssa Ester Rossino, per aver gentilmente autorizzato la consultazione del Fondo Celestri-Trigona-Sant’Elia.
Crediti
Archivio di Stato di Palermo, Fondo Celestri-Trigona-Sant’Elia.
Archivio di Stato di Palermo, Notai Defunti, Prima stanza.
Archivio Generale di Simancas.
Mongitore A., Storia delle Chiese di Palermo, Vol. I: I conventi, Ediz. critica a cura di Francesco Lo Piccolo, Regione Siciliana, Assessorato dei beni culturali, ambientali e della pubblica istruzione, Servizio Documentazione, Cricd 2009
Pellegrino F., Il lungo viaggio del sarcofago marmoreo di Baldassarre II barone di Comiso, www.Ragusanews.com, 7.1.2023
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