Un incontro sull'autobus
di Un Uomo Libero.

Lei salì sull’autobus a Donnalucata. Chiese all’autista un biglietto per l’aeroporto di Catania. Aveva lasciato una valigia nel bagagliaio. Si sedette in uno dei primi posti, al lato del conducente, per viaggiare più comoda, per guardare la strada. Non era giovane, non era vecchia, di un’età indefinibile perché accuratamente nascosta dal trucco.
Dal finestrino laterale guardava scomparire il mare tra le case, evaporare quasi nell’afa soffocante di un caldo mattino di luglio.
La corriera fece tappa a Scicli e poi si arrampicò su per i tornanti verso Modica.
Un folto gruppo di viaggiatori aspettava il suo arrivo a Modica nel piazzale della stazione degli autobus. Prese d’assalto il bagagliaio appena l’autista lo aprì per depositarvi le valigie.
Uno dei primi a salire sulla vettura fu un signore tarchiato, curato, baffi folti, capelli brizzolati, forse aveva settant’anni ma conservava ancora un aspetto giovanile e piacente. La sua mano tozza un po’ pelosa stringeva una valigetta di pelle marrone elegante e nuova. Aveva già comprato il biglietto della corsa. L’autista lo vidimò soltanto.
L’uomo vide il posto libero accanto alla signora.
-Posso?- Chiese, accennando un sorriso timido che accompagnava il desiderio di volerlo occupare.
Lei lo guardò con aria infastidita, aprì un ventaglio e lo agitò nervosamente, nonostante l’ambiente climatizzato dell’autobus. Fece spallucce e gli diede spazio spostando la borsetta sulle sue ginocchia.
Lui sedette e sistemò pure la magnifica borsa di pelle sulle ginocchia.
Tutti i passeggeri occuparono i loro posti e la vettura riprese il viaggio.
Trillò un cellulare. Lei rovistò dentro la borsetta, lo estrasse.
-Arriverò in aeroporto prima di mezzogiorno. – Rispose. -Qui, molto caldo. –
Agitava nervosamente il ventaglio. La radio di bordo trasmetteva canzoni italiane degli anni Sessanta.
Il signore osservò a lungo la donna, soprattutto dopo aver udito la sua voce.
– Ci conosciamo? – Domandò, mentre lei si sforzava di ignorarlo.
La signora si volse verso di lui.
-Non saprei. – Rispose evasiva.
-Nel Sessantotto, per caso, ha conseguito a Modica la maturità liceale al Campailla? –
Questa volta lei fermò il ventaglio e finalmente prese in molta considerazione il suo vicino.
-Sì. – Rispose.
– Anch’io ero di maturità. Frequentavo l’Istituto per geometri e ragionieri, al secondo piano dello stabile. Un anno importante per le nostre vite. – L’uomo la guardò languido e allora lei ricordò.
-Quanto tempo è passato! – Esclamò sorpresa mentre lui, commosso, le sfiorava la mano.
-Dopo circa cinquant’anni il destino ci ha teso questa trappola per farci incontrare ancora. -Continuò la donna.
-Aspetto ancora la tua risposta. Da tanti anni ormai. – La rimproverò dolcemente lui. – Poi, dopo che tu sposasti tuo cugino, come volevano i tuoi, anch’io presi moglie, mi diede due figli, non fui felice, solo mi accontentai di vivere una vita normale secondo le regole. E ho pensato a te sempre, ai tuoi giorni lontani, al tuo sorriso e al tuo amore rubati da un altro. Vivere un’evasione si può, se l’altra non è stata tua solo per motivi non suoi. Feci dei concorsi. Un impiego al ministero, la carriera, la Capitale, i figli che ora sono padri e mi hanno reso nonno. Lei, la donna che aveva avuto a rate il mio cuore, è andata via per sempre qualche anno fa. Mi rimane di lei più che un lutto il rimorso amaro del mio amore non corrisposto, quasi negato a causa di una memoria ingombrante, la tua, che la notte mi faceva compagnia per alleviare una pena segreta del cuore. –
Lei dispiegò tutto il ventaglio e questa volta fu per nascondere le lacrime.
-Parlami di te. – Disse con tenerezza l’uomo. -Ho bisogno di conoscere il tempo che mi manca. –
-Sì. -Rispose lei. – Mio padre non ti avrebbe accettato mai. Aveva deciso già per me. Sono stata debole e fragile. Non merito il tuo amore. Mio marito vive ancora. Era lui che chiamava. Anche i miei figli sono grandi. La vita gioca a dividerci e a farci incontrare ma il tempo passa e la fine si avvicina…-
-Per me, la stagione trascorsa è stata solo una lunga parentesi nella quale tu non eri. Ora sei qui, quella parentesi è chiusa. –
Lei non rispose. La sua mano tremava dentro la mano dell’altro.
-Vieni via con me. -Propose lui, in un disperato tentativo di legarla definitivamente alla sua vita. – Prendiamo un volo last minute per Parigi, per Bruxelles, per Londra…volevi visitare Londra, ricordi? Viviamo finalmente insieme gli anni che restano, abbi questo coraggio! –
Lei lo guardò con tristezza.
Il suo cellulare squillò ancora. Liberò la mano e cercò il telefono.
-È lui. – Commentò la donna, guardando il numero apparso sul display, alludendo al marito. – È molto malato, eppure si preoccupa per me. Grazie del tuo invito. -Aggiunse, asciugando un’ultima lacrima. – L’opportunità che mi offri ha un prezzo troppo caro e non posso accettare. –
L’autobus accostava davanti al piazzale delle partenze dell’aeroporto di Catania.
Si fece un gran trambusto.
Mina, attraverso la radio, cantava Breve Amore, uno dei suoi pezzi più intensi.
L’uomo e la donna scesero dalla vettura, recuperarono i bagagli, entrarono nel recinto aeroportuale, oltrepassarono i controlli. Verificarono i loro voli. Una lunga fila di persone già aspettava di essere imbarcata nel volo della signora e lei si accodò.
-La felicità non abita mai il presente, vive nella memoria. – Disse la donna salutandolo con un bacio. -Ricordami così e sarò per sempre tua. –
Lui la seguì con gli occhi fino a quando scomparve nel finger che l’avrebbe fatta arrivare dentro l’aeronave. Dalla grande parete di vetro della sala d’attesa dell’aeroporto assistette alle prime manovre dell’aereo sulla pista.
L’autobus intanto aveva ripreso la sua corsa verso la stazione ferroviaria di Catania, capolinea del suo tragitto.
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