Una scoperta dello storico Francesco Pellegrino
di Francesco Pellegrino

San Vito Lo Capo – Il 22 maggio 1587 Giacomo Gagini, marmorario, consegnava a Palermo all’onorato maestro Pietro Lazzaro, un orefice della città, una
“himaginem marmoream s/ti Viti cum eius canibus ad effectum jllam apportandi in ven/ecclesia dicti s/ti Viti de Capo”.
La statua di san Vito, quindi, era stata commissionata a Gagini da Pietro e Battista Lazzaro come si poteva dedurre da un precedente atto stipulato presso il notaio Xurtino di Monte san Giuliano (Erice). Il prezzo dell’opera era stato convenuto nel contratto in onze dodici.
Pietro nello stesso atto di consegna sollevava da ogni responsabilità l’artista e s’impegnava a trasportare la statua e a collocarla sull’altare dedicato nel santuario di Capo San Vito badando che non subisse danno alcuno.
I testimoni all’atto furono il magnifico Giovanni Filippo De Augusta e il reverendo don Giacomo Morana.
In margine all’atto il notaio annotò, diversi mesi più tardi, la scrittura di quietanza stipulata, infatti, il 20 novembre 1587 secondo la quale l’orefice Pietro saldava Gagini sborsando dodici onze di cui dieci di propria tasca e le altre due onze restanti erano donate da Battista.
Alla fine della scrittura tutti si dicevano contenti del buon esito dell’operazione.
Testimoni della quietanza furono il nob/ Mariano Grulli e un tale che faceva di cognome de Pandolfo.
Il ritrovamento di questo documento è di grande importanza, mette la parola fine alle varie speculazioni che si sono fatte nel corso degli anni le quali attribuivano la scultura a una scuola “gaginiana”.
Oggi possiamo tranquillamente affermare che la statua marmorea di san Vito, posta sull’altare nel suo santuario di Capo San Vito, pronta a stupire il devoto, il pellegrino e il turista per la bellezza della sua arte, è inconfutabilmente di Giacomo Gagini.
È un capolavoro della maturità dell’artista, voglio credere, nel quale è raffigurato un santo giovinetto vestito di abiti regali con i suoi inseparabili cani, animali in parte protagonisti della sua leggenda.
Che l’artista avesse voluto raffigurare qualcuno della sua famiglia lo fa pensare la preoccupazione con cui chiede mille garanzie circa il trasporto e la collocazione del suo capolavoro. Una preoccupazione che va oltre le regole della normale committenza.
I Lazzaro, che con buona probabilità erano fratelli, ben volentieri lo accontentarono, mossi anche da una profonda devozione e pietà verso il santo.
L’Archivio di Stato di Palermo, miniera inesauribile di notizie e custode geloso e fedele della nostra memoria, è il vero grande protagonista del ritrovamento.
Crediti
Alla Direttrice dell’Archivio di Stato di Palermo e ai suoi collaboratori vanno il mio plauso e i miei ringraziamenti.
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