Cultura Comiso

Il lungo viaggio del sarcofago marmoreo di Baldassarre II barone di Comiso

Baldassarre lasciava un figlio, Gaspare, dell’età di circa tre anni, come erede universale

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 Comiso - Il 7 gennaio 1557, prima indizione, Baldassarre II de Nasellis, barone di Comiso

jacens in letto, infirmus corpore, sanus tamen dei gratia mente et intellectu et sue proprie rationis bene compos

dettava il suo testamento.

Al notaio che ne raccoglieva le ultime volontà, Baldassarre raccomandava di traslare il suo cadavere da Palermo a Comiso, luogo in cui bisognava dare ad esso definitiva sepoltura. Ma non solo il suo cadavere. Anche le spoglie mortali del nonno, Balassarre I, dovevano essere portate a Comiso e là inumate.

Cadaver enim suum… apportatur intus monasterium sancte Marie di li Angeli huius urbis (di Palermo, ndt) commodule et deinde voluit quod apportatur in terra Comisi, cui conventui sancte Marie de Angelis ipse spectab/ d/nus testator legavit uncias decem in pecunia semel solvendas … et voluit ipse spectabilis d/nus baro quod tam dictum eius cadaver quam etiam cadaver q/dam spect/ d/ni don Baldassaris eius avi una simul apportari debeant in dictam terram Comisi”.

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Baldassarre lasciava un figlio, Gaspare, dell’età di circa tre anni, come erede universale. A tale scopo nominava tutori ma soprattutto disponeva che il bambino fosse fatto crescere a Comiso. Lo affidava, infatti, alle cure del secreto della città, Pino Salemi, del quale nutriva un’immensa stima.

Nel desiderio di adempiere ad unguem i desiderata di Baldassarre, il suocero, don Nicola Galletti, e i tutori di Gaspare, incaricarono diversi artisti di Palermo di progettare un monumento funebre nel quale potessero essere degnamente ospitate le spoglie mortali di Baldassarre.

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Si occupò del progetto il magistro Bernardino Cavallino, marmorario di Palermo, una persona dedita a procurare ai vari artisti della Capitale siciliana la materia prima.

Cavallino a sua volta contattò “Jacobus Gagini, scultor marmorum civis Panhormi” il quale accettò di lavorare per lui, nel proprio laboratorio, a sei tarì il giorno fino al termine dell’opera.

L’atto di committenza è del 4 dicembre 1561, a quattro anni di distanza dalla morte di Baldassarre II.

L’atto impegnava Gagini dall’8 dicembre in poi di quell’anno senza alcuna interruzione.

Cavallino si doveva recare a Carrara per scegliere i blocchi di marmo che avrebbe pagato a onze due e tarì dodici l’uno. Ogni blocco doveva essere di ottima qualità, doveva avere determinate misure puntualmente indicate nel contratto; tutta la pietra doveva essere consegnata a Gagini alla porta della Doganella di Palermo.

Nel caso in cui Gagini non avesse ritirato i marmi alla Doganella entro un determinato tempo, Cavallino si sarebbe ritenuto libero per contratto da ogni impegno preso nei suoi confronti.

Testimoni dell’atto furono l’onorato Antonio Alnarto e Michele Tagliaferro.

Il 7 luglio 1563 ancora i due fanno memoria, davanti al notaio, di rimesse di denaro riconducibili all’esecuzione del monumento nell’ambito di una contabilità privata nella quale erano confluite somme di denaro già elargite dai rettori della chiesa di santa Maria di Portosalvo di Palermo. Per le minuzie, affermano, non tengono un vero e proprio computo.

Rimandano a un futuro atto la definizione dei conti reciproci.

I testimoni sono Michele Tagliaferro e Ottaviano Sferrazza.

Per la data del 7 luglio 1563, a quanto si evince dal precedente documento, il monumento sarebbe stato già eseguito a regola d’arte dal Gagini e impacchettato per inviarlo a Comiso.

Appaiono notizie del viaggio, infatti, in una nota spese presentata il 9 settembre 1564 da Pino Salemi, secreto della Terra di Comiso, a Nicola Galletti.

Come disponeva il testamento di Baldassarre II, Pino Salemi era stato incaricato di reggere la baronia durante la minore età dell’erede universale Gaspare.

Nella nota, tra le diverse voci di spesa, oltre all’adempimento di alcuni legati predisposti dal fu Baldassarre II, esistono vari riferimenti al monumento funebre.

Con atto in notaio Pietro di Caccamo del 10 luglio 1563, tre giorni dopo la liquidazione delle competenze a Gagini

si fa exito di oz dichissetti: si donaro a Beneditto Bruschetto di Palermo et foro a complimento di oz 22 pi nolito di lo monimento di lo sp/li S/rj don Baldassaro de Nasellis, condam, di portarlo di Palermo a Cammarana.

Il monumento era stato imbarcato a Palermo su un bastimento di Benedetto Bruschetto ed era arrivato a Cammarana, porto che a quell’epoca, pur non trovandosi nel territorio della baronia, era il più prossimo alla città.

Ergo Cammarana nella metà del Cinquecento funzionava come approdo della costa.

Il costo del nolo era stato di onze 22 corrisposto in due tranche: una prima di cinque onze e una seconda a saldo di onze diciassette.

Sempre al notaio Pietro di Caccamo, Pino Salemi il 23 agosto 1563 dichiarava di aver pagato tarì dodici e grani dieci a Matteo Lauretta perché quest’ultimo con un gruppo di operai si era recato a Cammarana per scaricare i marmi lavorati  arrivati da Palermo.

Lo stesso giorno, al notaio Pietro di Caccamo, Salemi dichiarava di aver pagato ancora onze sei e tarì ventuno ad Antonello di Naro per il monumento. Per questa spesa purtroppo non è indicata alcuna causale.

Il 27 settembre 1563, questa volta con atto in notaio Paolo Meli, Salemi affermava di aver pagato onze dieci e tarì dodici per il trasporto del monumento, somma così ripartita: sette viaggi a onza una e tarì sei e la “carrata” cioè la base del monumento grande onze due.

Si fa exito di oz dechi tarj dudichi pi otto carrichi che portaro lo monimento di cammarana a lo commiso viz: setti carrichi ad oz 1 # 6 et la carrata di lo monimento grandi oz 2.

Dopo quest’annotazione, Salemi non aggiunse più altro riguardante il mausoleo nella nota spese.

Con certezza il monumento sarà stato accompagnato fino a Comiso da maestranze specializzate del Gagini se non addirittura da Gagini stesso, probabilmente per essere stata compresa nel costo totale la messa in opera a regola d’arte.

Fra i testi citati nell’atto della nota spese il notaio indica il minore Gaspare de Nasellis, erede e futuro conte di Comiso.

I documenti riguardanti il monumento erano noti solo in parte.

Padre Filippo Rotolo, di venerata memoria, già alcune decadi fa aveva individuato nel sepolcro col guerriero dormiente il monumento di Baldassarre II. Aveva segnalato, per averlo appreso dall’atto di committenza, la mano di Giacomo Gagini, sgombrando così il campo da qualsiasi attribuzione dell’opera a Gagini stesso o alla sua scuola. Rotolo tuttavia si era limitato solo a dare notizia del documento che aveva ritrovato in appunti di mons. Filippo Meli il quale a sua volta si era imbattuto nell’atto nell’ambito di alcune sue ricerche condotte nei fondi dell’Archivio di Stato di Palermo. Entrambi non si erano però soffermati sulle clausole del contratto d’opera, nulla avevano scritto sul pagamento dell’importante lavoro e sugli atti relativi al trasferimento del mausoleo a Comiso.

L’analisi dei pagamenti relativi al trasporto e alla messa in opera di questo autentico capolavoro gaginiano ha permesso ora di ricostruire anche i viaggi cui spesso erano sottoposte opere d’arte eseguite a Palermo e destinate alla ricca domanda di un nobilato che niente si faceva mancare, nonostante vivesse in territori periferici del Regno anziché nella sua capitale.

Grazie allo studio di altre vicende analoghe, infatti, si può senza ombra di smentite affermare che la capitale dell’Isola, per quanto lontana geograficamente fosse dalla Contea di Modica e dalle baronie e dai marchesati di questa satelliti, in effetti, mai fu così lontana dal cuore degli abitanti dei territori che in essi dimoravano.

Crediti

Archivio di Stato di Palermo

P. F. Rotolo o.f.m. Conv., Comiso. La chiesa di San Francesco all’Immacolata, Biblioteca Francescana, II ediz. Palermo 2002, pp. 35-42, 135-137.

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