Cultura Ragusa

Ragusa e la sua antica guerra dei Santi

La chiesa di san Giorgio a Ragusa è stata sempre unico e indiscutibile baricentro della spiritualità cittadina

https://www.ragusanews.com/immagini_articoli/22-09-2023/ragusa-e-la-sua-antica-guerra-dei-santi-500.jpg Ragusa e la sua antica guerra dei Santi


 Ragusa - Il 26 ottobre 1393 Re Martino il giovane e la consorte, la regina Maria, da un anno sbarcati a Trapani provenienti dall’Aragona, scrivono all’ “Episcopo siracusano” una lettera nella quale chiedono la conferma “ordinario jure” della “prebendam santi Georgij et santi Johannis” di Ragusa al loro cappellano Gabriele Gombaudi.

Re Martino il giovane, accompagnato dal padre Martino il Vecchio, ancora Duca di Montblanc, aveva trovato in Sicilia un regno in fiamme. Molti feudatari, alla vigilia del suo arrivo, avevano stretto un patto secondo il quale non si riconosceva la sua autorità nell’isola, nonostante il giovane Martino avesse sposato Maria, figlia di Federico IV, re di Trinacria e come tale legittima erede, di molti anni più vecchia di lui. Un matrimonio di Stato al quale abilmente si era sottratto lo zio Giovanni I, re di Aragona, fratello di Martino il vecchio.

Come sempre succede, alle parole e ai giuramenti non seguirono i fatti. A poco a poco i feudatari siciliani si sfilarono dall’accordo in precedenza stipulato e resero il consueto “homagium fidelitatis” ai nuovi sovrani.

Chi resistette a oltranza e da irriducibile fu proprio Andrea Chiaromonte, il conte di Modica, che per questo motivo, oltre a perdere tutti i beni, perse nel senso più materiale del termine anche la testa: fu fatto decapitare dai nuovi sovrani, infatti, a conclusione di un processo sommario, in piazza Marina, davanti al suo palazzo Lo Steri, il primo giugno 1392, non appena i sovrani si insediarono a Palermo.

La contea di Modica, vanto e storico possedimento della famiglia Chiaromonte, era immediatamente concessa da Martino, a qualche giorno di distanza dall’esecuzione di Andrea, a Bernardo Cabrera, uomo chiave e artefice della sua venuta in Sicilia.

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Ebbene, era successo che la “prebenda” delle due ricche chiese ragusane era stata acquistata, in data imprecisata, dal presbitero Paolo Canonico, il quale non volendola cedere al legittimo nominato “fecit falsis sugestionibus” riuscendo a far insorgere la Contea di Modica, nonostante già questa fosse nel possesso di Bernardo Cabrera da quasi un anno, contro la decisione dei Re Martini di assegnare tale beneficio a un loro uomo di fiducia.

I sovrani, descrivendo Paolo Canonico come “proditore et manifestissimo jnjmico”, lo avevano sollevato da qualsiasi incarico. Intervenendo sul territorio a gamba tesa, lo avevano bandito, in risposta alle calunnie del ribelle.

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A tale scopo supplicavano il presule siracusano, per diritto competente, “ad vos minime spectat provisio ipsa beneficia et privilegia”, di nominare e di integrare nel pieno possesso del beneficio delle due chiese ragusane il Gombaudi con tutti i redditi, emolumenti e frutti da esso derivati.

Nella missiva, a chiusura, i sovrani impiegano un verbo al futuro “et his namque complacetibis nobis”, facendo chiaramente intendere all’Ordinario di non essere disposti a trattare per alcun motivo sull’argomento.

Il documento che qui si illustra è molto antico e interessante, ovviamente è autentico e registrato nella Cancelleria dei Re aragonesi.

Si nota che, nonostante le cospicue rendite di cui godeva la chiesa di san Giovanni di Ragusa nel 1308 e che risultano dalle “Rationes decimarum”, questa era “aggregata” sin dalla fine del secolo quattordicesimo all’altra di san Giorgio che nel testo è, infatti, indicata per prima, com’era normale che fosse per una chiesa più importante.

Il dato è oltre modo avvincente perché rivela che l’accorpamento dei due benefici (delle chiese di san Giorgio e di san Giovanni) è avvenuto dopo il 1308, durante il periodo chiaromontano. Prima, infatti, erano indicati distintamente.

Sarebbe inoltre curioso capire di quale chiesa di san Giovanni di Ragusa si segnala la “decima”, così come appare indicata nelle “Rationes”: sulla chiesa di san Giorgio non ci possono essere dubbi perché il “san Giorgio” delle “Rationes” è ancora individuabile, ubicabile com’era sicuramente entro il perimetro sacro o nelle immediate vicinanze dell’attuale Duomo di san Giorgio; è per l’altra che i dubbi si fanno particolarmente pressanti.

La lettera al vescovo siracusano attesta comunque che anche a Ragusa la purga del dissenso operata dai Re Martini fu immediata, risolutiva, efficace come lo fu in tutta l’Isola. Del resto il Duca di Montblanc, cioè Martino il vecchio, non era né uno sprovveduto né tanto meno un ingenuo. Passò alla storia per la sua fine e astuta diplomazia che sapeva però usare anche le maniere forti quando in ballo erano prestigio e interessi di famiglia.  

Come si evince dalla lettera dei sovrani, già dalla fine del secolo quattordicesimo le chiese ragusane, grossi centri di potere, erano anche focolai di instabilità politica e le rendite, molto ambite, erano oggetto di liti e di discordie.

È molto singolare rilevare che la guerra ai Martini è condotta tuttavia proprio nel nome di due santi principali tra i più venerati dalla città usati a pretesto e ancora percepiti dal popolo in stretto sodalizio.

Poi, col tempo, queste liti e discordie si polarizzeranno intorno ai loro due culti fino a esplodere dopo il devastante terremoto del 1693.

Ad ogni modo, resta un punto fermo in tutta questa cronaca: la chiesa di san Giorgio a Ragusa è stata sempre unico e indiscutibile baricentro della spiritualità cittadina.

La scelta di Bernardo Cabrera di elevarla a pantheon siciliano della famiglia l’ha annoverata nel ristrettissimo numero di templi siciliani destinati a conservare le spoglie mortali dei loro signori più importanti e insigni, a imitazione delle grandi cattedrali di Catania e soprattutto di Palermo.

La chiesa di san Giorgio “vecchia”, danneggiata dal terremoto del 1693 che devastò la Sicilia Orientale, fu ricostruita in un sito diverso dall’originario pre-sisma ma la pietà dei ragusani volle che le antiche reliquie dei Cabrera seguissero le naturali peripezie del tempio: perché la memoria non era stata legata solo alle pietre di cui era fatto ma a ciò che esso rappresentava e avrebbe dovuto testimoniare nei secoli dei secoli.

CREDITI

Archivio di Stato di Palermo, Cancelleria.

Enciclopedia Treccani, voce Martino il Giovane, re di Sicilia, a cura di Giuseppe La Mantia, 1934.

Fodale S., Martino il Giovane e la soggezione del regno di Sicilia a quello d’Aragona.

Rationes Decimarum Italiae nei secoli XIII e XIV, Sicilia, a cura di Pietro Sella, Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, MDCCCCXLIV.

Sardina P., I Chiaromonte tra Ventimiglia e Palizzi: Diplomazia matrimoniale e strategie dinastiche nella Sicilia del Trecento, Mediterranea - ricerche storiche, Anno XIX, Agosto 2022.

Sortino Trono E., Ragusa Ibla sacra, Libreria Paolino Editrice, 2° edizione, Ragusa 2000. 

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