Il cancro
di Ellj Nolbia
Chi è malato di tumore, o di qualunque malattia definita “incurabile”, viene spesso additato come un diverso dagli altri, quasi un appestato. Nel mondo medico c’è chi di questa malattia in particolare ha fatto un’industria. Pubblichiamo la lettera di Ellj a sua moglie, scomparsa nove anni fa.
Mia cara
nel silenzio della nostra camera fiaccamente illuminata ascolto, dietro ai cieli di vetro, la pioggia incestuosa che ancora più cupe rende le ombre della camera assonnata.
Ti affascinava la pioggia di notte. Sentirti protetta dalla casa e dalle coperte.
La mia sagoma scura, con gli occhi che traboccano tristezza, tiene tra le mani quest’umile foglio, dove disegnate giacciono queste semplici parole.
Nella notte non trovo riposo. Tutto mi è ostile, tutto pessimismo dinanzi ad ogni cosa. La foto estiva che ti rappresenta, è adagiata accanto al letto. Il tuo sguardo vigila il mio sonno, fin quando gli occhi che cercano, stremati si spengono in un silenzioso dormire.
Mentre il buio e il silenzio signoreggiano nella camera: ti voglio raccontare, ti voglio ricordare.
Sai, ho ripercorso un tratto dell’itinerario già fatto insieme.
Ricordi la sala d’aspetto del Day Hospital di Careggi, non aveva per nulla un aspetto minaccioso o sinistro la prima volta che ci sono entrato insieme con te.
Dalle finestre si vedevano brandelli di giardino e altri padiglioni ospedalieri. Attraverso i vetri filtrava un sole che presentava la primavera e scacciava il freddo invernale.
Era il 28 aprile del 1995.
Ci siamo seduti in un angolo – ricordi? – come viaggiatori in attesa di un treno dalla destinazione cinicamente predeterminata.
Ti ho preso una mano. Così è cominciato il nostro viaggio.

Tu con il petto squarciato, io con il cuore trafitto. Soli a lottare contro l’intruso.
Così mi sono reso conto, giorno dopo giorno, che la diversità della malattia delinea con più chiarezza il comportamento delle persone.
Alcuni ci guardavano con pietà compassionevole, ma in definitiva crudele, di chi si sente, comunque, di trovarsi in una categoria diversa. Altri fuggiti, perché la diversità della malattia fa paura e allontana la gente, come se un muro invalicabile dividesse le persone giuste da quelle sbagliate, le sane dalle condannate.
Nelle lunghe attese e le tante cure, siamo venuti a contatto con il mondo della sofferenza: mai visto e inimmaginabile.
Volti pallidi, terrei, gli sguardi assenti, i gesti cauti e misurati di chi deve calcolare la fatica d’ogni movimento, economizzare anche il ritmo del respiro e gomito a gomito – ma non vicina – l’impazienza, l’indifferenza e a volte, il disgusto di chi da questa cosa – il tumore – non vuole essere sfiorato.
Voi siete diversi, sembravano dirmi tanti gesti e tanti atteggiamenti registrati giorno dopo giorno. Voi siete malati, avete la nostra pietà, ma non superate il confine. Rimanete tra di voi.
Ho avvertito spesso, nella voce di chi mi parlava chiedendomi di te, una sorta di sottile reticenza a domandare, ed ancor più ad ascoltare.
Ma, di cosa hanno paura tutti quanti? Di sapere la verità o, sapendola, di dover poi fare qualcosa per non lasciare solo chi è segnato da questo male impronunziabile?

Poi, ad un tratto, ho capito che se volevo starti accanto dovevo scegliere: perché non potevo, con le mie sole forze, colmare il baratro che la diversità della malattia scava tra i sani e i no.
Ora non so come debba considerarmi io, tutto sommato. Biologicamente sano, o in attesa del sopraggiungere di cellule impazzite.
Ma il mio cuore, il mio animo ammalati lo sono, perché solo così sono riuscito a starti accanto.
Non voglio stare dalla parte delle persone indifferenti e non ti ho mai chiesto come stavi con il tono trepido e pietoso che si riserva ai bambini un po’ sciocchi.
Non ti ho mai fatto complimenti fasulli, nè imbottita con frasi che insultavano la tua cosciente intelligenza. In poche parole, non ho voluto e non ho potuto essere “diverso”, non dentro di me.
Così, debbo essere come te.
Ora quando mi siedo nella sala d’aspetto del Day Hospital – che ho visto giorni fa in una mattina di sole – riconosco nei volti, negli sguardi della gente che attente, qualcosa di familiare, qualcosa di mio. Il loro colorito anemico, il loro gonfiore cortisonico, il loro sguardo assente e preoccupato, il loro impedimento motorio, l’alopecia, la peluria ormonale: mi appartengono.
Sono stati l’amaro sapore degli anni più ricchi della nostra vita.
Sono io ad essere cambiato.
L’ho fatto per non trovarmi dalla parte di quelli che di te e dell’intruso che ti sei portata dentro, hanno avuto paura.
Sento per la casa la tua voce e il tuo melodioso lamento e ancora i tuoi deboli passi accanto a me. Il ticchettio delle difettose stampelle, ma non ti sorreggo più: lascio che – come avveniva un tempo – sia tu a sorreggere me. Ricordo il tuo corto e stentato respiro e so quanto ti trafiggeva, perché trafiggeva anche me.
L’ho fatto per te.
Se ti ho toccata, ho imparato anch’io a sentire una sorta di dolore.
Ed io, che non ho mai fumato, accendo con rabbiosa ripicca una sigaretta ogni tanto, con metodo, perché anche a me pesi sul cuore la ricorrente domanda dei tanti medici consultati: “Lei fumava?”
Guardo la brace della sigaretta che si consuma, e penso che ho fatto la scelta giusta.

Il nostro treno seguita a viaggiare in tondo, ed io con lui.
In questo circo di durezza di gente che ride, ho pagato anch’io il biglietto senza alcuna riduzione particolare.
Perché non sono diverso da te.
Ora, come un angelo, hai trascinato stancamente le tue ali in un luogo senza ritorno, dove forse potrai rivivere e come Orfeo con la sua cetra, te con la tua musica renderai le anime più benevole e liete.
Nel silenzio della nostra camera si ode ora solo il maestrale che sibila. Non è costante. A tratti è furioso a tratti tace poi riprende. La sua voce tra i rami dell’amico cipresso è diversa, come diversi sono i tuoi oggetti che vedo intorno a me.
Ma la diversità non mi fa paura.
A questo punto strapperei quest’inutile lettera.
Ne farei farfalle di carta lanciate nel girotondo dei sentimenti.
Sperando che volando lievi, almeno loro, trovino la tua sconosciuta dimora.
Firenze 14.03.1999 tuo Ellj
In copertina, Omaggio a Leonardo, di Ellj Nolbia
le successive: Immagine 25
Omaggio alla Parola
Esperienze grafiche
sono anch’esse opera di Ellj
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