Scicli - Era inevitabile studiare il Primo Quattrocento in Sicilia con particolare attenzione alla Contea di Modica per capire poi il Cinquecento nel territorio comitale.
Il Quattrocento nell’isola è stato abbastanza indagato dagli storici del presente e del passato. Pochi, però, si sono soffermati, con l’attenzione che avrebbe meritato, sul Quattrocento nella Contea di Modica.
Anche l’ultimo convegno sui Cabrera, promosso in quest’anno 2024 dalla Società di Storia Patria di Ragusa, non ha apportato novità significative alla narrazione consolidata e antica.
Eppure, a ben studiare i documenti, di novità ce ne sarebbero state!
Ora con i volumi “Xichili e la Contea di Modica nel Tardo Medioevo” e “Xichili e la Contea di Modica alla fine del Quattrocento”, quest’ultimo alle ultime correzioni, si vogliono esaminare gli eventi e le trasformazioni avvenute nella Sicilia sudorientale nel corso del secolo. Nel primo dei due volumi, qui presentato, si esamina con metodologica pignoleria l’arco di tempo intercorso tra l’esecuzione di Andrea Chiaromonte, conte di Modica, avvenuta in piazza Marina a Palermo il primo giugno 1392 e la morte di Giovanni I Cabrera, il nipote di Bernardo Cabrera, avvenuta a Modica nella tarda primavera del 1474, lanciando (pur con qualche flash) uno sguardo introduttivo ma necessario al Vespro.
Per anni si è sostenuto che la Contea di Modica fosse chiusa alle novità isolane ed europee, il cosiddetto “regnum in regno”. Nulla di più falso in questa convinzione e soprattutto in quell’espressione latina poco rispettosa della vera storia della Contea.
La Signoria di Ragusa e, poi, la Contea di Modica giocarono ruoli importantissimi nella storia della Sicilia con le loro grandi città.
Ragusa, vera sentinella dell’altopiano ibleo, capitale consacrata e indiscussa dei domini chiaromontani nella Sicilia sudorientale; Modica, eletta poi capitale amministrativa di una contea non tanto per un’importanza storica iniziale che non aveva quanto per una sua posizione strategica, baricentro di un asse di città importanti attraverso il quale il territorio era controllato e difeso; Scicli, fragile e strategica porta aperta verso l’Oriente misterioso e lontano trovava nell’arcipelago maltese il primo approdo di una serie di cale naturali che avrebbero fatto della Contea la via di accesso più rapida e sicura al cuore dell’isola siciliana.
Il testo ripercorre, mese per mese, se non a volte giorno per giorno, incalzandoli, i fatti storici che interessarono il Sud Est siciliano. Un racconto affascinante anche perché parzialmente nuovo, nel quale queste città della Contea hanno espresso una vitalità, un protagonismo e un coraggio troppo a lungo ignorati.
La costituzione di una contea nell’angolo più estremo della Sicilia non fu un’idea brillante. Togliere la demanialità a centri urbani importanti come le città sopraddette fu, in effetti, una “deminutio” che molto fece soffrire le classi dirigenti e il popolo che in essi vivevano e che spesse volte per tale motivo si ribellarono.
Volendo ricalcare i possedimenti chiaromontani, si riconsiderò, infatti, un pezzo di territorio racchiudendolo in una gabbia amministrativa che mentre prima costituiva la base di uno jus esercitato indiscriminatamente da un signore, nel caso in esame un Chiaromonte nella signoria di Ragusa, dopo, con l’istituzione della Contea di Modica si diede luogo a un rapporto di vassallaggio, ergo di dipendenza e di intermediazione tra due poli: il conte di Modica e il sovrano. Legame istituzionale che funzionava a fasi alterne, secondo il capriccio e la convenienza del re.
Se da una parte la contea fu penalizzata dalla perdita di demanialità dei suoi territori, dall’altra si affermò un’anarchia giuridico-amministrativa che spesso costrinse il monarca aragonese a intervenire con mano pesante per far rispettare in essa dagli abitanti le sacre prammatiche del regno di Sicilia.
La sostituzione della famiglia Cabrera a quella dei Chiaromonte e l’impossibilità dei nuovi feudatari di effettuare un controllo sicuro e capillare sui territori comitali come prima accadeva, non ultime le vicissitudini personali del capostipite siciliano della famiglia, Bernardo Cabrera, sono oggetto di analisi di questo volume.
Bernardo Cabrera, col cuore e la vita divisi tra la Sicilia e la Catalogna, dominerà con una presenza eroica e indiscutibile le prime decadi del Quattrocento siciliano.
Sarà il figlio, Giovanni Bernardo, a governare la Contea per quasi mezzo secolo, alternando rovesci di fortuna a grandi imprese.
Tuttavia, diviso come il padre tra Catalogna e Sicilia, tra campagne militari a fianco dei sovrani aragonesi e grandi rivolgimenti, a stento saprà tenere a freno le ingordigie e le intemperanze dei suoi vassalli. In una contea sempre più lontana, lacerata da lotte intestine, Giovanni Bernardo fu perennemente perseguitato da usurai e da creditori che un fisco regio avido, istigato dal re, metteva alle sue calcagna.
Alla sua morte, il figlio Giovanni I ritornerà a Modica ma solo per pochi anni, il tempo di rendersi conto dell’enorme dissesto finanziario lasciatogli in eredità dal padre. A nulla servirà tamponare le numerose falle che giorno per giorno saranno scoperte nell’amministrazione comitale.
Con la sua morte a Modica si chiude il presente volume. Il successivo già analizzerà i fatti storici che si susseguirono nella Contea nelle ultime decadi del Quattrocento tenendo presente come dies ad quem l’anno Millecinquecento.
Ma per quella data la famiglia Cabrera non viveva più a Modica e al suo posto un amministratore ne curava interessi e diritti.
Nel Millecinquecento il tempo di Bernardo era ormai solo uno sbiadito ricordo come anche lo era il tempo del figlio, Giovanni Bernardo.
A testimonianza della passata gloria, Ragusa custodisce ancora le spoglie di Bernardo e del figlio Giovanni Bernardo più volte riesumate e più volte sepolte; sono andate perdute, invece, quelle di Giovanni I e di Giovannotto, il figlio morto in tenera età.
Sic transit gloria mundi.