Lettere in redazione
|
18/03/2009 16:02

Dalla parte del cane. Una lettera

di Redazione

Roma- Carlo Scimone, sciclitano origine, alto funzionario del Quirinale, ci invia questa lettera che volentieri pubblichiamo.

Tanto è stato scritto sull’amico dell’uomo per antonomasia, esaltandone i pregi o difetti, le virtù o i vizi. Tutto ciò riguardo ad una creatura, il più delle volte, antropomorfissata. Giusto o sbagliato il cane domestico, rispetto al progenitore lupus, non è autosufficiente e questo è un motivo in più per poterne parlare e decidere per lui; avete mai provato, però, ad immaginare quello che alberga nel suo cervello? Nasce nell’utero di una madre metropolitana, stressata, nevrotica o di di una rurale, umile, svilita, dallo sguardo triste di cagnolina indifesa che, dopo un accoppiamento drammatico, porta in giro il suo esclusivo, spropositato pancione. Lei gli trasmette un bagaglio genetico indissolubile e, quale vittima di una costante precarietà, le conseguenti sensazioni attraverso l’aumento delle pulsazioni cardiache, la circolazione sanguigna, le scariche di adrenalina, l’eccitazione, gli abbai che il feto nella fase avanzata dello sviluppo percepisce uditivamente. Il neonato vede la luce con gli occhi chiusi e così rimane per circa undici giorni; in quel periodo si instaura anche un rapporto tattile con la madre e, lì, lei lo protegge, arrotolandogli intorno e lui associa il calore corporeo alla quiete; lo lecca premurosamente sulla pancia per favorire l’evacuazione e gli porge le mammelle non solo per allattarlo ma per offrirgli tranquillità. Subito dopo la nascita si determina nel cucciolo l’imprinting, quel fenomeno dovuto al bombardamento di informazioni acquisite nei primi giorni di vita che condizionerà, al pari del patrimonio genetico, l’intera esistenza dell’animale. Le stesse informazioni ricevute nel grembo materno, in uno stato di sospensione, sono ora amplificate e vissute direttamente dal cucciolo; le nasie della madre, le timidezze, le reazioni aggressive scatenate da paure, sono trasferite all’intera nidiata. Intanto la troppo spesso scarsa e comunque squilibrata alimentazione crea problemi di crescita che investono anche la sfera psichica dei piccoli; subito dopo, non ancora svezzati, vengono separati in modo traumatico quando non soppressi davanti agli occhi atterriti della madre. Il cucciolone, affamato di conoscenze, sgrana gli occhi davanti alla nuova condizione, al nuovo pradrone, al nuovo mangiare; attento alza le orecchie allo scatto di un moschettone che lo assicura, frequentemente, ad una corta catena dalla quale è impossibile liberarsi (e per andare dove?), costringendolo a subire la pioggia ed il vento di inverno, il sole diretto in estate con una scoldella d’acqua, quando c’è, arricchita da uno strato vegetale. Per lui non sapere quello che succede, non potere decidere il proprio destino e nemmeno immaginarlo da un momento all’altro, crea un senso di completa dipendenza, di costante timore, di inguaribili complessi. Sono richieste, d’altronde, di disponibilità, comprensione ed obbedienza ad ordini malamente impartiti; gli viene poi attribuito il torto di non esprimersi umanamente e di non sapere interpretare i nostri umori. Cominciano a formarsi i ricordi ed il cane, dal fisico oramai cresciuto ma con il cuore di bambino già nasconde dietro i suoi occhi immagini lontane come il rincorrersi gioioso con i fratelli, la presenza rassicurante della genitrice, il volto del vecchio padrone. Un respiro profondo, allora, richiude l’oscuro pozzo della sua memoria. Lui si abitua al cibo diverso e non si lamenta della mancanza di vitamine o di sostanze proteiche, cerca solo di stare bene per non creare problemi al suo signore che sempre accoglie festosamente. Eh, già! Il mangiare è a comando, il dormire è a comando e lo stesso svegliarsi è a comando. Gli istinti venatori sono a comando ed anche quelli di difesa; non è previsto essere stanchi o stare male e, tra l’altro, come comunicarlo? E l’amore? Lui ricorda, senza capire il perché, quella volta che, attirato da un irrefrenabile impulso verso una femmine in estro, prese tante bastonate proprio dalla persona che ama di più, dal suo capo branco; e si chiede come mai quando si avvicina al tavolo da pranzo per ricevere avanzi a volte è bene accetto ed altre cacciato via.

Non tutti i cani, però, vivono un quadro così desolante. Ci sono, senz’altro, quelli che stanno meglio. Ma quanti in percentuale? E cos’è meglio? L’isolata tranquillità di una padrona neuropatica che pioetta sull’amato a quattro zampe uno stato ansiotico? O, piuttosto, il proprietario affettuoso che, a suo piacimento, lo rende un salsicciotto deambulante dandogli da mangiare in continuazione? E tutti e due avendo risolto affermativamente all’ultimo il problema dell’eutanasia, quesito di ordine etico-morale al quale teologi e filosofi non sono riusciti a dare una risposta; grande tema di rispetto per la vita estero ora ad essere miti, fedeli, innocenti ed amici.

“D’altronde” vi direbbero quei padroni “è stato meglio così; era talmente triste vederlo”. Provate voi, però, a chiedere ll’interessato se è stato meglio così!. Sì, ci sono, comunque, cani che vivono bene ma pochi e tanti meno arrivano ad una lunga e serena vecchiaia.

Non c’è da opporre, adesso, le mostruosità della vivisezione incontrollata o delle sevizie compiute su animali durante feste che hanno l’aspetto di riti crudeli e barbarici ove l’indifesa creatura, dopo immani sofferenze, può sperare di trovare rifugio solo nella morte. Parlare di queste cose risulta imbarazzante ed è opportuno attuare la politica dello struzzo, ignorando le atrocità perpetuate per ignoranza o con coscienza verso il nostro fido, reo, soltanto di amarci incondizionamente.

In ogni caso stiamo tranquilli: anche gli spiriti intolleranti e meno sensibili perché lui mai li rimprovererà e, in un altro mondo, quel giorno anche se lo hanno maltrattato, il cane spenderà per loro una buona parola e sarà lì ad accoglierli, scodinzolando. 
 

CARLO M. ANDERSON SCIMONE