Lettere in redazione
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18/02/2009 11:36

Dasvidanija, Ciccio

di Redazione

Mosca – Cerco le parole dal momento in cui ho saputo.
Cerco le parole, e le parole non vengono.
Non ho nulla da raccontare, stavolta…niente che sappia di sterminati cieli carichi di grasse nuvole a fine estate e di strade cittadine cosparse di foglie dorate in autunno. Niente che sappia di fresca neve invernale, di ameni paesaggi primaverili di betulle rigogliose.
C’è, in fondo, scalpitante come un cavallo impazzito, un dolore che non ha voce.
È un dolore che ne risveglia altri semplicemente sopiti, mai superati.

Li ho contati, o almeno ci ho provato. Ho contato i giovani sciclitani che non posso più farci compagnia al bar davanti a un caffè fumante, e quelli a cui non si può più telefonare per rinnovare gli auguri di Natale, e quelli che non ci sorrideranno più come quando li incontravamo distrattamente per strada.
Ho provato a contarli; me ne sovviene sempre un altro. E non ho ancora finito.
Sono tanti; troppi.
Intrappolati dentro scatole di legno chiuse ermeticamente e poi inghiottite da fredde cellette di cemento, occultati da lapidi severe, non possono che sorriderci – qualcuno tristemente – dalle foto che hanno fermato nel tempo i loro volti.
Resteranno così: giovani per sempre, sorridenti per sempre – qualcuno tristemente – per sempre.

Francesco. Vedo che il cielo sotto al quale siamo nati ti ha pianto. Lo vedo dagli ombrelli chiusi e dal grigiore che sovrasta i sbigottiti convenuti all’ultimo appuntamento con te.
Posso vederlo solo attraverso delle immagini che poco mi restituiscono della reale commozione generale. Volti seri, irrigiditi da un’idea comune: la morte ha spezzato un fiore per sbaglio; da che parte guardava, maledetta, mentre percorreva quella strada sospesa nel nulla?

Fuori cadeva la neve. Tanta, tanta neve. Tanti, miliardi di fiocchi di candida neve.
Per un attimo ho perso la cognizione del luogo e del tempo. La neve è silenziosa. Non ha rotto il suono tetro e insopportabile dell’angoscia di quel momento che non avrei voluto vivere. Che nessuno avrebbe voluto quando la notizia ha preso piede, rapidamente, percorrendo vie e svoltando angoli del mio paese, giungendo -con un balzo eccezionale e impressionante- fin qui.
Un altro figlio della già afflitta Scicli che se ne va, per sempre.
Non posso nemmeno portarti un fiore. La distanza è eccessiva… tuttavia non ha smorzato –mentre mi raggiungeva– il dolore della perdita.
Così tanti chilometri, eppure, per strada non s’è perso nulla.
Un attimo prima, Chiara. Tu l’attimo successivo.

Dasvidanija

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