Secondo il codice civile turco, i gatti sono ancora classificati come “beni mobili”. Tuttavia, le modifiche introdotte alla Legge sulla Protezione degli Animali n. 5199 hanno aperto la strada a nuove interpretazioni: oggi è possibile includere negli accordi di divorzio clausole relative al benessere, alla custodia e al sostegno economico degli animali domestici.
Fino ad oggi, in Turchia si erano già registrati casi in cui le parti si accordavano per coprire le spese di cibo o di cure veterinarie, ma mai un impegno finanziario strutturato, duraturo e indicizzato all’inflazione come quello sottoscritto da Bu?ra B.
Il caso non stupisce del tutto chi conosce il profondo legame tra i turchi e i loro felini. Secondo le associazioni animaliste, nel Paese vivono oltre 4,7 milioni di gatti domestici e più di 5 milioni di gatti randagi, accuditi quotidianamente da cittadini e municipalità che si occupano di sterilizzazioni e cure veterinarie.
Basti ricordare la commozione nazionale per Gli, la gatta di Santa Sofia diventata celebre sui social e immortalata in una foto con Barack Obama, o per Tombili, il corpulento gatto di Kad?köy, la cui posa “da cortigiano romano” gli valse una statua dopo la morte.
Il tribunale di Istanbul dovrà ancora confermare formalmente il protocollo, ma il caso è già entrato nella storia della giurisprudenza turca: la vicenda di Bu?ra ed Ezgi B. segna un passo simbolico verso un diritto più empatico, che riconosce il valore affettivo degli animali nel nucleo familiare. Gli avvocati turchi la definiscono “una svolta che potrebbe ispirare futuri accordi simili”, mentre sui social la storia è stata accolta con commenti di approvazione e tenerezza.
In un Paese che da secoli convive con i gatti nei cortili, nelle moschee e nelle piazze, un assegno di mantenimento per due felini non appare come un’esagerazione, ma come il riflesso di un amore radicato e condiviso.