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28/10/2025 09:23

È morto Björn Andrésen, «il ragazzo più bello del mondo» di Visconti

Il regista l'aveva scelto a 15 anni per «Morte a Venezia». Aveva 70 anni

di Redazione

È morto a 70 anni a Stoccolma, dov’era nato il 26 gennaio 1955, il «ragazzo più bello del mondo», cioè Bjorn Andrèsen, cioè l’adolescente Tadzio che nel 1970 Luchino Visconti scelse, appena quindicenne, per il capolavoro «Morte a Venezia», tratto dal famoso racconto di Thomas Mann. Quel film, col successo che riscosse, fu la dorata «prigione» del ragazzo che nel corso del tempo accusò Visconti – che aveva già scoperto una bambina in «Bellissima» – di avergli dato poche indicazioni sul set e di averlo esposto troppo presto a un mondo adulto e spietato, mentre il regista, consapevole, gli aveva stretto intorno, sul set, una rete di protezione per cui il ragazzo era inavvicinabile.

Nel ’22 due registi, Kristina Lindstrom e Kristian Petri, che ieri ha dato la notizia, hanno girato su di lui un documentario intitolato appunto il “ragazzo più bello del mondo”, frase dello stesso Visconti che passò nel ’70, rinunciato al progetto Proust, mesi a perlustrare i gli studios, facendo molti provini finchè un giorno, finalmente, trovò a Stoccolma questo giovinetto di sconvolgente bellezza, perfettamente in grado di turbare il compositore in vacanza Von Aschenbach (Dirk Bogarde), che rimpiange in Tadzio soprattutto l’immagine di una giovinezza perduta per sempre. Pur incastrato nei canoni del film omosessuale, col volto di Bjorn, idolo e feticcio di un canone efebico-androgino, “Morte a Venezia”, che fece premiare Visconti a Cannes, non parla di una relazione ma di una ossessione sulla ricerca del passato con la complicità del panorama veneziano, colpito dalla peste.

 

Certo il giovane restò, come spesso accade ai ragazzi prodigio (vedi Judy Garland o il piccolo Macaulay Culkin, ma anche il bambino Enzo Staiola di “Ladri di biciclette”), vittima di una popolarità che gli sfuggì di mano presto, anche se interpretò altri film (“Il villaggio dei dannati” di Ari Aster) e serie tv, ma ebbe un fortunato debutto da cantante. Soprattutto divenne idolo e pop star in Giappone, dove si esibì con una sua band, mentre una generazione di disegnatori di manga lo scelse come icona del viso di lady Oscar. Lontani i tempi dello sfarzo liberty dell’Hotel des Bains al Lido di Venezia, coi costumi di Piero Tosi, degli sguardi materni di Silvana Mangano: quella gran fortuna col tempo divenne per Andrésen una condanna (“un incubo, diceva, ero circondato da pipistrelli”).

Passò anni a liberarsi di ogni sospetto omosessuale o comunque di ruoli basati sul fisico, prendendosela con la femminista Germaine Greer che utilizzò senza permesso una sua foto per il libro “Un ragazzo”. Andrésen portava anche in dote una personale dote di sfortunati destini: il padre, sconosciuto, morì in un incidente quando era bambino e la madre, modella per Dior, fu ritrovata cadavere in un bosco, probabilmente suicida. Inoltre uno dei suoi due figli, Elvin morì nel 1986 a 9 mesi, ma gli sopravvive Robine, nata nel 1984. Fu una nonna esosa a fargli da manager: Bjorn a un certo punto, complici pillole e alcol, si ritirò dal mondo, lasciò moglie (dopo soli cinque anni), figlia e sorella. Circolò voce che fosse morto. Invece cercava di guarire dalle ferite della gloria effimera del cinema: “Io non morirò, scomparirò”, disse, forse intendendo che scompariva la bellezza fisica. Quel film con le sue splendide immagini dimostra che il tempo che non fa sconti: il ragazzo più bello del mondo, dopo una vita piena di pietre d’inciampo, era irriconoscibile nell’aspetto, capellone, barbuto, stanco e afflitto dalle molte disgrazie che si trascinava dietro, un patrimonio di rancori, sensi di colpa, rimorsi.