di Silvia Ragusa


“Venire a Ibla è come tornare sul set di un film che non ho ancora finito di girare”
Giuseppe Tornatore, Ragusa, 13 ottobre 2009
Ragusa – Sorridente, ben felice di tornare nei luoghi già conosciuti, già presenti nel suo altro capolavoro “L’uomo delle stelle”, “dove ho vissuto un periodo gioioso della mia carriera” – dice allo stuolo di telecamere che lo circondano.
La folla straripa, prima nell’aula della facoltà di Lingue di Ragusa Ibla, poi nell’auditorium della Scuola dello Sport. Perché tutti vogliono assistere alla premiazione del “maestro”, guardarlo da vicino, ringraziarlo anche. C’è chi si avvicina lasciando un libro, un piccolo cortometraggio, altri invece, emozionati e commossi, ricordano quella Sicilia, la Sicilia di “Baarìa”, fatta di impegno politico, di ingiustizie, di magia anche.
Eppure il perché di tanto successo, non solo siciliano o italiano, Giuseppe Tornatore pare sconoscerlo. “Resto sorpreso della popolarità che riscuote e mi chiedo quale sia la cifra che permette a un film di essere apprezzato in Italia e all’estero alla stessa maniera. Ebbene, non so rispondere a questa domanda, credo che uno degli elementi che possa spiegarlo sia che nel film c’è il senso di appartenenza alla comunità, e questo soprattutto in un momento storico come il nostro in cui si fatica a trovare un’identità”.
Tra gli studenti si anima il dibattito. “Le radici dell’identità, per quanto si possano smarrire, restano; si tratta solo di saperle riscoprire. Bisogna saper vivere cercando di non dimenticare mai chi siamo e da dove veniamo – dice Tornatore alla platea – per questo il mio film si basa sul concetto del tempo: c’è il divenire del tempo ma anche l’assenza di tempo, e se il tempo non esiste due persone, due idee, due visioni possono ancora incontrarsi”. Poi una riflessione politica: “Siamo costretti a vivere la politica come elemento di divisione in aree ideologiche contrapposte. Una volta la politica era sinonimo di positività, di praticità e sensibilità, di tolleranza anche. Adesso è diventata sfiducia, corruzione. Voler rimuovere il comunismo, oggi continuamente accusato e svilito, significa voler cancellare il contributo che questo ha dato al nostro Paese”.
Domande e risposte si susseguono l’una dietro l’altra, intercalate dai commenti dei docenti Giuseppe Traina e Simona Laudani, e da Carmelo Arezzo, presidente del Teatro club Salvy D’Albergo che nel pomeriggio, attraverso una commemorazione scenica alla memoria, apre la quinta edizione del premio.
Poche le parole di presentazione sul regista più acclamato, e sul film già proposto ai prossimi Oscar. Perché anche qui, davanti a politici e autorità locali, s’instaura una conversazione semplice, a volte scherzosa, a volte responsabile.
Tornatore racconta come il film sia nato per poche persone, per sua madre, sua figlia, per la gente di Bagheria, quella di quando era bambino, perché “se riesci a parlare di te stesso – spiega – riesci a parlare degli altri”.
Al tavolo l’assessore Mimì Arezzo e Maria D’Albergo ringraziano il regista per aver accettato di entrare nell’albo d’oro del premio ragusano. Una targa che recita: “a Giuseppe Tornatore per aver regalato al mondo con il suo lavoro la Sicilia preziosa del suo cuore”. E non mancano le curiosità, come la disponibilità spontanea di numerosi attori famosi per le parti secondarie o la musicalità di Ennio Morricone modulata sugli antichi canti dei carrettieri siciliani.
La versione in italiano, che circola dalla Calabria al Friuli, in contrapposizione ad una versione in dialetto originale che invece sarà proiettata in tutto il mondo con i sottotitoli. E la fatica contestata nel girare le scene in una Bagheria ricreata ad hoc in Tunisi.
E poi il consiglio dell’amico Sciascia dopo “Nuovo Cinema Paradiso”: “Peppuccio, fai sempre film sulla Sicilia e non sbaglierai mai”.
Silvia Ragusa
Ph Luigi Nifosì
© Riproduzione riservata