Saldo negativo per quantità, il mercato resiste nei valori ma affondano colture tradizionali come pere, patate, pesche e pomodori
di Redazione
Ragusa – Il comparto ortofrutticolo made in Italy allarga il gap con i competitors europei e il timore di un rischio paralisi ricorre sovente tra gli operatori. Non è più soltanto un problema di qualità o di quantità: in gioco c’è una perdita progressiva di competitività e di primato commerciale. Gli effetti della crisi energetica e delle strozzature che hanno rallentato il commercio internazionale si misurano nei dati relativi ai primi sei mesi dell’anno, con l’export che a livello nazionale perde il 3,8% in valore e il 6,8% in quantità. È un trend – fa notare Fruitimprese – che accomuna tutti segmenti, in particolare frutta fresca (-7,68%) e agrumi (-15,2%). La cifra record del primo semestre 2021 – 5,2 miliardi di euro – è un miraggio, ma quel che più preoccupa è la forte accelerazione sul fronte delle importazioni, con incrementi a valore quasi tutti a doppia cifra: agrumi (+38,6%), legumi-ortaggi (+32,8%), frutta fresca (+9,5%), frutta secca (+25%).
Le quantità importate (oltre 2 milioni di tonnellate) superano ampiamente l’export (1,7 milioni di tonnellate) e il saldo commerciale in valore è al tracollo: 115 milioni di euro (-81,9%) era di 635 milioni nel 2021. Come ricorda Marco Salvi, presidente di Fruitimprese «il nostro Paese rischia di perdere il primato nella produzione e nell’export di molti prodotti di punta». Tra switch produttivi e marcati fenomeni di abbandono, la profonda crisi che attraversa il settore rischia di affondare colture tradizionali come pere, patate, pesche, mais dolce, pomodori, che diventano il secondo prodotto più importato (dopo banane, avocado e ananas) con un valore di circa 97 milioni euro. Anche in Sicilia la campagna agrumicola 2022-2023 è a rischio, insieme con la filiera intermedia.
Molte industrie di trasformazione chiudono – avverte Fruitimprese Sicilia – e così viene meno anche la possibilità di collocare il prodotto di seconda/terza scelta, che dovrà essere destinato al macero con elevati costi di smaltimento destinati, inevitabilmente, a ricadere sulle aziende produttrici, visto che le arance di scarto sono considerate rifiuti speciali. In un contesto così drammatico preoccupa il giro di vite sui fitofarmaci delineato dalla Unione europea, con una revisione del regolamento che punta a un taglio del 62% per gli agrofarmaci chimici e del 54% per le sostanze attive “omologhe”. Il nuovo regolamento istituisce inoltre aree di rispetto su cui è vietato l’uso di qualsiasi fitofarmaco. Il malessere è generalizzato tra tutte le associazioni agricole. Il presidente della Cia-Agricoltori, Cristiano Fini, ricorda che ad essere penalizzati sono soprattutto i Paesi mediterranei, dove la presenza di colture altamente specializzate è preponderante.
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