Economia Guerra ucraina

Gas, a maggio la stretta di Putin al rubinetto italiano: la carta siciliana

Se la prossima fornitura non sarà saldata in rubli il rischio diventerà certezza

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 Roma - Se l'Italia non pagherà in rubli le prossime forniture di gas russo, e dalle ultime dichiarazioni di Draghi e Di Maio non sembra assolutamente disposta a farlo, il Cremlino chiuderà il rubinetto al nostro Paese, visto che l'ha già fatto senza battere ciglio con Polonia e Bulgaria. Visto che l'Occidente continua a inviare armi in Ucraina e a non mostrare atteggiamenti doplomatici verso Putin, non c'è motivo di ritenere che Mosca non metta realmente in pratica il ricatto che viola il contratto di fornitura, anche perché sostiene che finora le sanzioni internazionali non gli hanno fatto né caldo né freddo. Chiudere un occhio e fare uno strappo alla regola non è nella realtà delle cose: cedere al compromesso sarebbe vissuto, da entrambi le parti, come una debolezza se non proprio come una sconfitta.

Già il quarto nuovo pacchetto di sanzioni che l'Ue sta approvando comporterà il completo embargo dal petrolio (e in base ai dati della Banca mondiale, la Russia guadagna tre volte di più dall’export del greggio che da quello del gas). Ma il blocco alle forniture di greggio e alla distribuzione di prodotti derivati da e per l’Italia è il problema minore di fronte allo stop al gas da cui siamo ancora fortemente dipendenti (nel 2021 hanno rappresentato il 40% delle nostre importazioni, corrispondente a circa 30 miliardi di mc) nonostante i frenetici accordi che stiamo stringendo con stati inaffidabili e certo non campioni di democrazia come Emirati Arabi, Congo, Angola, Algeria e Azerbaigian. È lecito attendersi che non tutte le azioni intraprese per diversificare gli approvvigionamenti produrranno i risultati desiderati e che anche gli altri partner europei si troveranno a dover fronteggiare la medesima carenza. Gli americani ci daranno una mano ma, alla lunga, non potranno certo compensare da soli i rifornimenti di un continente intero.

Il prossimo assegno da staccare alla Russia dovrebbe essere, ma non ci sono indicazioni ufficiali, intorno alla metà di maggio. Cosa accadrà allora, se il flusso di gas dal Tarvisio s’interrompesse davvero? Nello stesso Def 2022 del governo si legge che lo scenario “causerebbe ulteriori aumenti dei prezzi (a cascata su tutti i beni, ndr) che influirebbero negativamente sul Pil e spingerebbero ulteriormente al rialzo l’inflazione”. Sarebbe, insomma, la cosiddetta recessione economica. Come sopravvivranno le imprese e quanto arriveranno a costare, per i cittadini che chiedono la pace, le bollette energetiche? La strategia di riprendere la produzione nazionale è lunga, costosa e da sola non basta. La Sicilia svolge un ruolo chiave su questo fronte sia per le piattaforme offshore al largo delle coste meridionali, sia per i gasdotti nazionali: su 5 nazionali due passano attraverso le coste dell’Isola, Greenstream a Gela e Transmed a Mazara del Vallo.

Un elemento di criticità è sicuramente la Isab di Priolo Gargallo, nel siracusano: azienda italiana il cui socio unico è la Litasco SA, società svizzera del gruppo russo Lukoil che, nonostante non sia soggetta a sanzioni, è attualmente costretta ad acquistare la quasi totalità di grezzo dalla Russia per le enormi difficoltà di credito che sta incontrando. Rappresentando il 20% la capacità di raffinazione nazionale e il 20% della domanda di energia elettrica della Sicilia, senza un intervento di copertura del governo - inclusa la nazionalizzazione - la situazione rischia di diventare difficile per il mercato e per migliaia di lavoratori. È in corso anche un’analisi di mercato per il raddoppio del gas trasportato fino a 20 miliardi di mc, senza bisogno di nuove infrastrutture, ma che - in caso di esito positivo - richiederebbe comunque 4 anni per la realizzazione. 


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