di Redazione
Sciclinews propone da oggi una galleria di ritratti di personaggi che fanno parte del vissuto collettivo di Scicli e degli sciclitani. Si tratta di poveri. Personaggi che della povertà hanno fatto la loro autenticità. Una povertà materiale cui è corrisposta però un grande ricchezza di spirito. Oggi pubblichiamo il ritratto di Michele, tratteggiato da Un Uomo Libero. Con prefazione di Socrathe.
Il moderatore
Gli eroi senza nome sono gli uomini che la storia ha dimenticato ma che la memoria del popolo riconosce e dei quali perpetua nel tempo il ricordo. Vissero tra noi, protagonisti involontari di una cronaca piccola e provinciale. Figli di un tempo sacro, naturalizzati dall’eterno ritorno. Echi di tempi lontani, memorie del nostro vissuto.
Socrathe
Michele veniva barcollando con un passo discreto, trascinato dal ritmo della sua fisarmonica. Ubriaco solo di note e di sole. Per qualche spicciolo regalava un valzer o una mazurka che spesso finiva, dopo capricciose variazioni, nello stesso motivo del valzer. Biascicava parole che, bambino, appena capivo. Malinconico e misterioso, sfidava le insicurezze del giorno con la sua intima vocazione di zingaro. Conosceva tutte le vie e le viuzze di una città antica, non ancora fuggita verso gli instabili e argillosi pianori che la spingevano verso il mare. Una casbah infinita, abbarbicata ai costoni della rocca, vera e propria “alcazaba” . Il sole dell’estate proiettava la sua ombra instabile e allegra sui muri delle case imbiancate a calce mentre un sorriso fioriva, per il miracolo della sua musica, fra le labbra asciugate dalla calura. Amava suonare per i bambini. I bambini lo amavano. Gli offrivano il soldino con il gesto generoso di chi voleva solo bene. Abbandonava la tastiera per accettare il dono con un buffo movimento di marionetta.
Michele faceva parte di un mondo in decomposizione. Che scompariva lentamente senza che ce ne rendessimo conto. Dissolvenze e vite che non avrebbero più trovato la loro giusta dimensione nel futuro segnato dal progresso e dal benessere. Più tardi, molto tardi capimmo quanto importante fosse stata la sua presenza in quel microcosmo che oggi appartiene solo ai ricordi. Travolti da una febbre del fare, ci siamo persi nel labirinto dei nostri mille nuovi bisogni. La vita, però, è una. Va vissuta intensamente, godendo del sole e dell’ombra, della natura e del canto degli uccelli, di una libertà che il profitto non potrà mai dare. Lui, Michele, queste cose le aveva capite. Da un pezzo. Viveva del poco ma quel poco era molto e lo rendeva felice. Viveva di musica, di malinconia che, spesso il sabato, annegava nel vino. Per accogliere una settimana ancora, per esistere e mantenersi vivo.
Morì? Nessuno veramente lo seppe. Lo piansero le ombre dei vicoli che non ballavano più al suono della sua fisarmonica. Lo piansero forse i vicini di una piccola casa che lui abitava in un’antica cava. La primavera ricoprì la sua terra con un tappeto di fiori sui quali ancora oggi danza l’angelo buono del ricordo, per un ultimo valzer.
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