Cultura
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28/06/2019 09:55

Escape Room

Le regole erano chiare: per uscire bisognava trovare degli indizi in ogni angolo della stanza, indizi che portavano ad una combinazione numerica fatta da sei cifre

di Redazione

 Dov’era Paolo? Mi alzai dal divano e guardai distrattamente la stanza in cui stavo aspettando. Presi il cellulare per chiamare il mio ragazzo…segreteria telefonica.
Tutto era iniziato qualche giorno prima quando avevo esaurito tutte le scuse per evitarlo. Poi era arrivato il week end, ci eravamo incontrati per pranzare insieme nel bar sotto casa. Mi sforzavo di mangiare la caprese con meno imbarazzo possibile. Paolo mi aveva sorriso e mi aveva detto con la solita calma:
<>.
Il giorno dopo mi aveva mandato un sms con un indirizzo da raggiungere. Non conoscevo la casa al terzo piano di quella via. Mi aveva aperto un giovane sui trent’anni dalla barba lunga che mi aveva fatto accomodare in salotto.
<> sbottai leggendo l’ora sul cellulare. Fissai la porta aperta che mi separava dal corridoio. Fui tentata di andarmene ma non lo feci. Maledetto cretino, imprecai sottovoce, spero per te che sia una bella sorpresa per far aspettare una donna truccata e preparata.
Una goccia di sudore mi imperlò la fronte. Dovevo calmarmi, guardai alla mia destra e vidi una stanzetta che presumevo fosse il bagno. Lo era, era minuscolo ma funzionante. Mi sciacquai il viso e sistemai il trucco. Lo specchio sotto il lavello non era sporco ma una sottile linea rossa tingeva il muro. Non ci badai e mi sistemai i capelli.
Una voce e dei rumori di passi, mi affrettai fuori.
<> chiesi arrabbiata senza sapere chi avessi davanti, ma quello non era Paolo. C’era invece un ragazzo di colore molto giovane dall’abbigliamento casual, un jeans ed una camicia rossa.
<> disse imbarazzato fissandomi. Come se mi riguardasse.
Slittai la domanda.<>.
<>.
In quel preciso istante la porta della stanza si richiuse alle nostre spalle, seguita da una chiave girare.
Quando realizzai mi lanciai verso la porta, che era rinforzata. Provai a forzare la maniglia.
Mi girai e vidi che il nuovo arrivato mi fissava disorientato, come se la mia reazione fosse fuori luogo.
<> continuai senza successo.
Il ragazzo rise e mi si avvicinò tranquillo. <>.
Non stava facendo dell’ironia e la mia faccia valeva come un secco no.
<> si presentò.
<>.
<>.
Il suo tono mi calmò per un momento. Lo seguii e sedetti. Intanto Max aveva preso un opuscolo dal tavolo al centro della stanza.
<> mi chiese.
“Stanza della fuga”, tradussi dall’inglese.<>.
<>.
<> dissi.
<<...che ha organizzato Paolo...il tuo fidanzato?>>.
<> gli chiesi per spezzare l’imbarazzo.
Mi spiegò che questa era una escape room molto speciale. Solitamente Il creatore di questo gioco, il ragazzo che mi aveva introdotto in salotto, le organizza per gruppi di amici. Max supponeva che Paolo l’avesse fatta preparare solo per me, per rendersi conto in un secondo momento che forse non l’avrei risolta da sola. Così aveva attirato uno giocatore esperto come Max.
<> commentai contenta.
Max aprì l’opuscolo e lo lesse ad alta voce. Le regole erano chiare: per uscire bisognava trovare degli indizi in ogni angolo della stanza, indizi che portavano ad una combinazione numerica fatta da sei cifre. Quando scoperta, bisognava prendere i foglietti rossi sul tavolo, scrivere il codice e farlo passare sotto la porta rinforzata. Nel caso dell’utilizzo di apparecchi elettronici, la sfida si sarebbe interrotta immediatamente. Il tempo concesso era di 60 minuti.
<>
<> mi rispose lui,
Spensi il cellulare e mi alzai. Osservai la stanza attorno a me: rispetto alla porta rinforzata, il divano stava sulla parete sinistra. Su quella destra c’erano il quadro di un gabbiano in volo e nell’angolo un carrello porta vivande. Il tavolo era al centro.
<> chiesi entusiasta mentre mi toglievo i tacchi per muovermi più agilmente.
<> mi consigliò.
Presi l’opuscolo e ne sfogliai le poche pagine. Niente di sospetto, lo stavo mettendo via quando mi scivolò di mano. Riuscii a prenderlo al volo ma rovesciato, dalla parte del retro della copertina. Con la coda dell’occhio vidi nell’angolo destro il disegno di una porta fatta a matita.
Lanciai un grido di gioia e raggiunsi la porta. Max mi si affiancò.
<> mi disse,<>.
Mi inginocchiai. La porta era spessa e completamente bianca, la tastai in cerca di qualcosa. Partii dal basso verso l’alto, come un pennello che dipinge. Di un tratto la mia mano si bloccò e un fruscio di carta tintinnò nelle mie orecchie.
<>.
Un foglio bianco era stato piegato ed attaccato, così da poterlo mimetizzare con il colore della porta. Per questo non si vedeva. Aprii il foglio. Esultai come una ragazzina e lessi ad alta voce:
“Indizio 1: la prima parte del codice è 001, cari viandanti. Capita a tutti di non aver addosso la maschera che si vuole e si deve rimediare nella tana ambita. Insomma, un sacro Harem di lacrime, dovere e talvolta qualcosa di piccante”.
<> affermò Max sovrappensiero.
<> sussurrai io persa nel turbine dei miei pensieri.
Ci sedemmo al tavolo. Max borbottava qualcosa tenendo la testa bassa, io invece venivo distratta continuamente dal quadro del gabbiano che avevo di fronte.
<> mi chiese.
<> risposi ironicamente.
Max fece una smorfia ma non si perse d’animo.<>.
Era davvero difficile, pensai. Le maschere si indossano a teatro ma non in un salotto. Forse l’indizio era in un libro sul teatro nelle librerie sul fondo della stanza? No, doveva essere un luogo e non un oggetto, come aveva detto Max. La parola “tana” lo indicava chiaramente.
<> dissi distrattamente,<>. E senza motivo la mia mente collegò quell’idea ai bagni dei locali dove consolavo le mie amiche…“maschera” significava i trucchi femminili!
<>. Saltai su, tre passi ed aprii la porta. Guardai dentro come l’aquila sulla preda. Non c’era nulla di diverso da prima e nessuno ci era entrato dopo di me. Avanzai seguito da Max. Ci dividemmo i compiti: io avrei controllato la zona lavello e lui il resto. Controllai nei cassetti, dappertutto. Assolutamente niente.
<>.
<> risposi fiera.
Non so per quale ragione l’occhio mi cadde su quella sottile striscia rossa già vista prima ma adesso poteva acquistare un altro valore. La toccai, il rigolo era pittura e la sua forma sembrava una linea storta…forse una freccia sgangherata…che puntava verso l’alto…
Mi avventai sulla parte bassa del mobiletto. Tastai con veemenza fin quando trovai un altro biglietto attaccato con lo scotch.
<>.
Tornammo sul divano, mi stesi. Dovevo far riposare le gambe.
<> gli dissi dandogli il biglietto ancora chiuso.
Max si schiarì la voce:
“Indizio 2: certe volte è meglio dimenticare quelle serate di fronte al “mare notturno”. Non si da mai il meglio di noi ma si sa “uno ci prova” con quello che tiene in quel momento”.
Io e Max ci guardammo smarriti, dovevamo prenderci una pausa. Lo vidi raggiungere il carrello porta vivande.
<>.
<> risposi io.
Un momento dopo mi sedette affianco con in mano due bicchieri. Mi porse il mio.
<> incominciò,<>.
Lo guardai con una smorfia. Ci provava in modo così scontato?
Max tradusse la mia faccia.<> mi rispose.
<>.
Max divenne scettico, mi fissò.<>.
Questa volta non riuscii a simulare altrettanto bene. Mi alzai con la scusa di appoggiare il bicchiere sul tavolo.
<> dissi cercando di mascherare il disappunto.
<>.
Non risposi, non era impossibile che Paolo avesse capito tutto e che volesse riconquistarmi. Ma ci voleva dell’altro che una serata alternativa o un regalo costoso. Gli avevo sempre detto di non considerarmi “scontata” e questo era stato il suo errore negli ultimi due mesi.
Ero così persa nei miei pensieri da non accorgermi che Max stava rileggendo l’indizio trovato in bagno.
<>. In risposta mi passò il foglio.
<> mi rispose prontamente,<>.
Lo rilessi, il testo era vago. Anche se alcune parole era virgolettate, come per dargli importanza.
“Uno ci prova”, “mare notturno”…qualcosa scattò nel mio cervello.
<> ricordai con un sorriso.
<>.
<>.
<> scherzò Max.
<> lo difesi subito<>.
Alla parola alcol fissai stralunata il bicchiere che Max teneva fra le mani. Capimmo entrambi, girammo la testa verso il carrello porta vivande che però era pieno di bottiglie. Neanche fossimo stati agenti segreti cercammo il solito biglietto attaccato da qualche parte. Questa volta però non era così immediato.
<> mi imbeccò Max.
Sospirai, erano passati due anni. Ricordai il suo sguardo che mi voleva, al contrario dei suoi modi che lo frenavano per non risultare volgare. Rilessi ancora il messaggio. “Uno che ci prova”, un immagine mentale si collegò a Paolo che su quella spiaggia beveva e mi faceva ridere. Su cosa scherzava? Dovevo impegnarmi nel ricordare, era un dettaglio importante…
Mi sedetti al tavolo e mi concentrai. Finalmente inquadravo la scena nella mia testa.
…Paolo che si avvicina bevendo per vincere la timidezza. Lo guardo, sorride e mi dice:<>.
<> gli rispondo maliziosa. Lui ride con il suo sorriso da bambino.<>.
Faccio una smorfia.<>…
<> dissi rompendo il silenzio.
Max tirò fuori tre bottiglie: due non ancora aperte ed una mezza vuota. Ci guardammo.
<> chiese. Io feci spallucce.
Prima le controllammo esternamente, leggendo le etichette. Qualche parola in codice? Nulla!
Poi le guardammo in controluce per vedere se ci fosse qualcosa dentro il liquido…Niente!
Max imprecò. Io non mi feci prendere dall’ansia e pensai. Non stavamo sbagliando, non era un caso che ci fossero tre bottiglie di martini. Senza una ragione sfilai il tappo della bottiglia mezza vuota.
<> disse.
<> risposi soddisfatta mentre staccavo un pezzettino di carta arrotolato ed attaccato alla base del tappo.
<> commentò lui.
L’indizio era scritto su una striscia di carta. Siccome lo spazio era poco, le lettere erano piccolissime. Con fatica riuscii a leggere.
“Indizio 3: spesso è davanti a noi ma non si vede. Devi “planare” per averlo. Un po’ come chiudere gli occhi”.
<> commentai confusa.
<> confermò lui.
Ci guardammo intorno, il problema era “il cosa”. Max controllava compulsivamente tutto quello che capitava: le sedie, dietro al divano, nelle librerie. Io dovevo mettere ordine perché così non si andava da nessuna parte.
<> incominciai.
<>.
<> sussurrai a memoria mentre fissavo il vecchio tavolo, il quadro appeso del gabbiano, il lampadario sporco, la porta che ci chiudeva dentro, la libreria affianco alla
<> scattai di un tratto.
<> mi disse.
Accettai i complimenti. Spostammo il tavolo e ci piazzammo davanti al quadro come veri intenditori d’arte.
<>. Non risposi.
Era un dipinto a pastello, un gabbiano volava tutto solo con fierezza sopra l’oceano. Non c’erano simboli o indizi, unicamente una lunga distesa di mare e cielo.
<> citai vagamente.
Max sorrise come un scemo e chiuse gli occhi.
<>.
<> disse prendendomi in giro.
Volevo stare al gioco, mi divertiva quel ragazzo. <>.
<>.
Max aveva scherzato ma il mio cervello no. Lo sorpresi con un bacio sulla guancia e mi congratulai con lui.
<> mi rispose riaprendo gli occhi.
<>.
Un minuto dopo la soluzione si presentò ai nostri occhi. Nel buio più totale potevamo vedere solamente una cosa: sul muro all’altezza del quadro, adesso affondato nel buio, qualcosa brillava, come le stelline nelle camere dei bimbi. Avanzai con cautela, toccai un pezzo di carta bagnato di un gel fosforescente. Era stato attaccato alla base del quadro e spuntava esternamente per pochi centimetri. Staccai gentilmente l’indizio e chiesi a Max di riaccendere le luci.
Era contenta di aver giocato a questa “escape room”. Mi sentivo fremente e piena di entusiasmo.
<> disse Max.
<> risposi acida.
<>.
Lasciai perdere e lessi:
“Eccoci arrivati: 998 è la seconda parte del codice ma non dimenticare che il giorno del primo incontro devi tagliare”.
Presi un foglio rosso per la scrittura del codice. Scrissi: 001 ma mi fermai imbarazzata.
Max rise.<>.
Che data era? E poi dicono che le donne si ricordano tutto!
1 Luglio, no, fine Giugno…conclusi che era il 29/06/2017! Quindi 998 meno 29. Scrissi il codice per intero, 001967, e lo feci passare sotto la porta. Mi piazzai davanti ad essa con il chiaro intento di vantarmi con Paolo. Invece il foglio mi venne rispedito indietro con una bella X nera sopra. Ci rimasi male.
<>.
<> spiegai.
<> mi fece notare.
Ci pensai su, prima di arrivare in spiaggia mio fratello mi aveva presentato tutti a cena, compreso Paolo!
Con foga riscrissi il codice, 001966, rifacendolo passare sotto. La porta si aprii, Paolo era lì che si tratteneva a stento dal ridere. Mi aggiustai i capelli per darmi un tono.
<> dissi fingendomi offesa. Lui mi prese le mani.
<> mi disse con il tono dall’apparenza gentile. Ma io riconoscevo la sua ironia e quello sguardo furbetto con cui si beffava degli altri.
Paolo aveva saputo che volevo lasciarlo e per tutto il tempo non me ne aveva fatto parola!
Lo fissai negli occhi mentre un sorriso scivolò sul mio viso.
<> risposi abbracciandolo.