Economia
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27/07/2025 23:26

Facciamo il formaggio ragusano col latte maltese, ci ridurremo a fare le conserve coi pomodori cinesi

Negli ultimi dieci anni l’importazione di pomodoro cinese è cresciuta del 272%

di Redazione

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Ragusa – È straniante, non c’è dubbio.
Ragusa, terra generosa di armenti e pascoli, capitale del latte fresco, patria indiscussa del caciocavallo nel Mondo, bussa alle porte di Malta per avere latte a buon mercato. Un’azienda locale, che produce anche DOP, si rifornisce altrove, oltre quel tratto di mare che ci separa da un’isola ben più piccola.
Necessità industriale, compromesso economico, oppure sintomo di un sistema che si piega pur di restare in piedi?
Non è episodio isolato, ma parte di un quadro più ampio.
Ricordiamo quando un Politico nel senso alto del termine ci aprì gli occhi: le conserve di pomodoro “destinate all’esportazione” venivano prodotte con pomodoro cinese.

L’Italia, secondo o terzo produttore mondiale, chiedeva alla Cina ciò che avrebbe potuto produrre nei propri campi.
Paradosso? Non proprio. Perché quei pelati non finivano tutti all’estero: li ritroviamo anche nei nostri supermercati. E la storia continua: negli ultimi dieci anni l’importazione di pomodoro cinese è cresciuta del 272%. Solo nel 2023 oltre 100 milioni di chili sono arrivati dalla Cina, pari al 15% della produzione nazionale da trasformazione. Il concentrato cinese costa la metà, e l’industria lo preferisce per abbattere i costi. Ma a quale prezzo? Gli agricoltori ricevono 15-17 centesimi al chilo per il pomodoro, mentre una bottiglia da 700 ml si vende a 1,60 euro. Di questo, solo il 9,4% finisce nelle tasche di chi ha coltivato la terra. Tra pomodoro cinese e latte maltese, il “made in Italy” è sempre meno italiano, e sempre più una formula di marketing.

Che fine ha fatto la filiera, quella vera? Quella che parte dal campo, attraversa il laboratorio, e arriva alla tavola? Quella che tutela territorio, qualità, tradizione?
Ci siamo abituati all’idea che per restare competitivi bisogna rinunciare. Ma ogni rinuncia ha un costo che non vediamo subito: lo paghiamo in identità, in trasparenza, in fiducia. E allora chiudiamo il cerchio: Ragusa e il latte, la Sicilia e il pomodoro, l’Italia e la sua agricoltura. Se non cambiamo rotta, rischiamo di perdere ciò che rende questo Paese inconfondibile.
Non nei numeri, ma nel sapore.