Cultura
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16/08/2008 20:40

Favola del ciclismo, tra progetto e passione

di Redazione

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Bartolo Campailla e
Lorenzo Verdirame

Due  amici.
Due ciclisti di Scicli.

Due ragazzi che pedalano alla rincorsa del un sogno: quello di diventare corridori. Ammiro tantissimo questi ragazzi che vivono a terra e sognano un futuro diverso da quello a loro predestinato per consuetudini familiari. Ho sempre considerato gli elementi del sogno, come arnesi di lavoro. Anche se delle volte, i viaggi in bici, mi hanno incallito alla dolce malinconia per topografie sconosciute o competizioni chiuse spesso con felici delusioni.
Sappiate però, che la sconfitta aiuta a crescere. Ma “bisogna saper perdere” solo in quella modalità modella il carattere e in questo senso la pratica del ciclismo può servire alla vita, ne è la prova generale!

Il ciclismo è sport duro, dove la fatica ai margini della sofferenza è sostanza  basilare. Fare accostare al ciclismo un giovane, è sempre convincimento difficile, per le tante distrazione che i ragazzi vivono e che, con il rigore che il ciclismo richiede, non si accordano. In questo senso è sport antico o se preferite senza tempo. È sport vero, che vuole dedizione completa, non mezzana. Non è un gioco. Non è sport di squadra – o lo è in una stranissima mistura di dedizione e sottomissione seguace – non si può fare scorrere palla togliendosi l’impiccio e stare a guardare. I ciclisti pedalano tutti. E fatica di più chi viene staccato e perde – perché giunto al punto paralizzante della fatica limite – che chi stacca gli avversari e vince per sue doti proprie e facilità del gesto.

Quasi mai i figli condividono la stessa passione dei genitori.  Nel caso di Bartolo e Lorenzo, la regola ha avuto una anomalia. Forse Bartolo e Lorenzo hanno visto fin da bambini  per casa, le tracce inconfondibili di una passione viva: maglie coloratissime con scritte ben visibili, caschi e strane scarpe, e biciclette dai vari materiali sempre rinnovate. Hanno assistito ai racconti entusiasmanti delle gare alle quali i due genitori Memmo Campailla e Memmo Verdirame hanno partecipato. Forse dal sentimento di quei racconti, dalle gare dei genitori viste e seguite al vero, hanno abbracciato convinti tutto questo fardello di affanni.

Memmo Campailla si accosta al ciclismo amatoriale ormai da grande, ma con impegno, sacrificio ed assiduo allenamento riesce ad ottenete delle affermazioni in gare con poca salita, che si risolvevano in volata. Caratteristica da  passista veloce.
Per “i verdirame”, il discorso è diverso. Costituiscono a Scicli la “famiglia del ciclismo” che ha anche avuto una squadra di Federazione e amatoriale in alternativa agli “Amici del pedale”. Siamo ormai alla seconda generazione di ciclisti. Quasi tutti i figli della numerosa dinastia, sono passati dal pedalare. Nella primigenia famiglia dei ciclisti Verdirame: Bartolo, Ciccio, Angelo, Giovanni, e anche Memmo (il padre di Lorenzo) hanno pedalato, anche in categorie di Federazione con buoni risultati. Ho gareggiato con Memmo. Aveva caratteristiche complete. Teneva in salita, aveva andatura nel passo ed in volata: timore di nessuno. Provò a correre nella Federazione a Varese, ma … quella era altra epoca e quella era altra storia.
Della seconda generazione, oltre Lorenzo, fa parte pure Carmelo (figlio di Bartolo) che per due anni ha gareggiato al nord con un sodalizio lombardo come Juniores insieme ad un altro sciclitano: Peppe Ficili.
Ora … l’esperienza si rinnova.
Un’altra coppia di sciclitani alla rincorsa di un sogn, che può valere una carriera.

In Sicilia, nella stragrande maggioranza, i ciclisti sono amatori. Cioè praticanti di quel ciclismo dopolavoro, sterile e per sua natura senza prospettive di professione. Le squadre di Federazione nell’isola sono poche e con poche risolse. Anni addietro si tentò – se bene ricordo, con l’avv. Ingrillì – di costituire una squadra dilettantistica come rappresentativa regionale chiamata “Progetto Sicilia” . Gli esiti furono deludenti e impedirono a  buoni corridori (uno a caso e per tutti: Rosario Fina passato professionista ormai trentenne) la liberatoria per il passaggio in altre quadre del nord, che avrebbero facilitato il transito verso il professionismo. È da miopi, non riuscire a vedere l’impossibilità della realizzazione di un progetto ciclistico in Sicilia, data l’estremità, la mancanza di risorse, e innumerevole altre faccende che sarebbe lungo e penoso elencare.

Si sa, il ciclismo di Federazione in Sicilia, è difficile da praticare. Il ciclismo vero – non nel senso della fatica, ma della prospettiva futura –  però è solo quello di Federazione. Chi vuole seriamente dedicarsi a questo sport per costruirci insieme una professione, deve abbandonare prima possibile questa regione periferica non solo geograficamente, e per il ciclismo: assolutamente marginale. Questi ragazzi di Sicilia, per poter esercitare, per farsi notare, devono andare a cercare le gare lontano, quasi sempre in continente. Lo spostamento non è disagio da poco. Oltre che impegno economico, anche in termini di accumulo di fatica, che incide notevolmente sulla prestazione agonistica.


Bartolo Campailla

Così, Bartolo e Lorenzo – per le brillanti prestazioni fatte registrare in alcune gare fuori regione (Tre giorni Orobica/BG – Piano solidale centro-sud- Parma) -, sono stati richiesti da una squadra toscana : La Bottegone di Pistoia, dove sono cresciuti, nella cat. dilettanti, Francesco Moser e anche Michele Bartoli (campioni di indiscusso valore). In Toscana, le gare a cui partecipare, si scelgono nell’abbondanza in base alle caratteristiche del corridore. Le squadre partecipano anche a più gare nella stessa giornata, smistando i corridori in base ai percorsi e alle caratteristiche degli atleti. In Sicilia, le gare sono diradate e spesso solo una in tutta la regione. In quella regione già di storici campioni e in quella squadra, i due ragazzi, di Scicli verranno seguiti ciclisticamente e  accuditi umanamente, per quella antica passione che lega la Toscana a questo sport francescano. Per questo attaccamento del popolo del ciclismo a chi lo pratica, Barolo e Lorenzo verranno amorevolmente adottati dalla gente del posto, agevolati nelle necessità e seguiti dagli appassionati perché ragazzi che vengono da lontano e che si sottopongono a grandi sacrifici. Il tifoso toscano di ciclismo, è stato già corridore da piccolo e innamorato di ciclismo lo rimane per sempre. Va alle corse, non per tifare la singolarità del corridore, ma per sostenere quel gesto che conosce nell’intimo per pregressa pratica: applaude tutti e non litiga mai. Una strana alchimia lega il  popolo toscano a questo sport. Come se una consanguineità imparentasse la fatica del pedalare con la laboriosità di quella gente.
Questo popolo entusiasta aspetta Bartolo Campailla e Lorenzo Verdirame.
Anche in una eventuale delusione sportiva, quegli appassionati gli daranno una ulteriore possibilità. Chi conosce questo sport, non può che pensare in questo modo, e a questi ragazzi – che con grande coraggio e risolutezza affrontano questa dura prova – le possibilità di provare vanno date tutte e sempre con magnanimità e benevolenza.

Questa esperienza da “emigrati dello sport” è indispensabile se si vuole provare a fare il salto nel ciclismo che conta, quello che scrive la storia e può dare da vivere. La Toscana – insieme alla Lombardia e al Veneto -, è il territorio dell’università del ciclismo. Questi ragazzi, che hanno volontà e determinazione, li vedremo di sicuro ai vertici delle classifiche. Hanno caratteristiche fisiche e attitudine nella specializzazione differenti. Bartolo, di struttura solida dalle lunghe leve, più passista veloce. Lorenzo, fisicamente leggero e longilineo, più adatto alle salite.


Lorenzo Verdirame

Conosco il fare sciclitano dello sminuire a bocca torta e schifiari quanto altri si apprestano a fare, con aspre battute. Un avvertimento ai maldicenti: questi ragazzi vanno incoraggiati e rispettati, anche qualora il prossimo anno dovessero tornare a Scicli senza possibilità di proseguire l’attività nella categoria superiore. Vanno accolti con stima e benevolenza, perchè hanno tentato con coraggio una strada non certo facile, piena di sacrifici ed insidie, e poi lontani da casa, con sicuri abbattimenti. Molti altri ciclisti di Scicli – sempre quelli che schifiunu di più – non solo non hanno avuto capacità loro proprie per essere cercati da squadre del nord, ma spesso hanno speso il loro sicuro modesto “talento”, nelle gare amatoriali, cercando di essere tra i migliori dei peggiori, e spesso neppure riuscendoci.

Il ciclismo, è la prova generale della vita, si diceva all’inizio. Ad un buona prima tappa, può seguire una brutta seconda tappa. Ci sarà comunque una seconda occasione e poi un’altra corsa e dopo l’ultima pedalata: un nuovo confronto. Non possiamo, le corse, perderle tutte.
Vorrei spiegare a Bartolo e Lorenzo, che scegliendo la passione per la bicicletta, ci siamo scelti una professione complicata e difficile. Il ciclista è esigente, disincantato, scettico per vocazione. È un pessimista ironico ed è convinto che ogni colpo di fortuna, verrà nel tempo pagato. Dico a voi due, miei cari, che perdere con classe è difficile, ma è meglio che perdere senza classe. Non esistono scuse o attenuanti nelle sconfitte. Vanno accettate e sapute accettare con serietà e giusta aria dignitosa. È facile perdere, molto, molto più difficile vincere. E nelle vittorie eventuali, passate il traguardo a mani basse, senza esaltazione esagerate (come Bugno ha insegnato). Pensate a tutte le innumerevoli volte vi siete confusi nella massa dei perdenti. E ricordate, che accadrà d’essere sconfitti in corse più importanti delle ciclistiche. Quindi tanto vale prepararsi, ad accettarle: “la sconfitta è il blasone dell’animo ben nato”, diceva un poeta argentino.
Il ciclismo, è la prova generale della vita.

Ellj Nolbia