La Suprema Corte punisce severamente un 32enne che aveva inviato foto e messaggi espliciti ad una ragazza di 15 anni
di Redazione

In gergo si definisce “sexting”, la pratica di inviare foto erotiche attraverso i social. Con una sentenza che lascia poco spazio ai dubbi, la Cassazione ha stabilito che inviarle a un minore di 18 anni non soltanto costituisce reato, ma si tratta a tutti gli effetti di una violenza sessuale. La terza sezione penale della Suprema Corte si trovava ad esaminare il ricorso degli avocati di un uomo indagato per avere inviato messaggi e foto esplicite ad una ragazza minorenne invitandola a fare altrettanto sotto la minaccia di divulgare in pubblico le chat. La difesa dell’uomo, un 32enne lombardo, aveva precisato che non c’erano stati «incontri con la persona offesa, né c’era stata alcuna forma di induzione a pratiche sessuali». Quindi, mancando «l’atto sessuale», sosteneva dovesse cadere l’accusa di violenza sessuale. Secondo la sentenza resa nota martedì, «la violenza sessuale risultava ben integrata, pur in assenza di contatto fisico, quando gli atti sessuali coinvolgessero la corporeità sessuale della persona offesa e fossero finalizzati a compromettere il bene primario della libertà individuale nella prospettiva di soddisfare il proprio istinto sessuale».
Inoltre, i giudici hanno sottolineato che gli indizi di colpevolezza erano aggravati dal tono e dal contenuto dei messaggi finiti al centro del processo, «nell’induzione allo scambio di foto erotiche, nella conversazione sulle pregresse esperienze sessuali ed i gusti erotici, nella
crescente minaccia a divulgare in pubblico le chat».
Il procedimento è ancora in corso presso il tribunale di Milano, e l’uomo accusato è attualmente detenuto agli arresti dominciliari. Proprio nel tentativo di ribaltare la decisione del tribunale del Riesame di Milano, che aveva confermato la detenzione come forma di custodia cautelare, la difesa si era rivolta alla Cassazione sostenendo che, in assenza dell’atto sessuale, non fosse contestabile il reato di violenza sessuale. I giudici della Suprema Corte hanno però bocciato questa linea, ritenendo la decisione del Riesame «solida e ben motivata».
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