L'uomo che inventò la musica nella Seattle etnea
di Redazione

Catania – Dieci anni, ma ancora oggi sembra irreale. Perché Francesco Virlinzi, scomparso nel dicembre 2000, è una presenza continua nella musica di Catania (e non solo), nelle persone che hanno ancora un sogno da inseguire, negli artisti che si lasciano condurre dal proprio istinto piuttosto che dai dettami del mercato o delle mode.
Questa è la grande lezione che ci ha lasciato “Checco”, come lo chiamavano gli amici, creando l’etichetta discografica Cyclope, lanciando dal Sud del mondo artisti come Carmen Consoli e Mario Venuti, organizzando allo stadio Cibali il concerto dei Rem, ancora nei ricordi di molti, facendo conoscere Catania al mondo come la Seattle d’Italia.
Questa lezione Nica Midulla, la “mamma rock” di Francesco, che spesso incontriamo ai concerti in giro per il mondo, porta avanti con il tributo che da dieci anni si tiene ogni 28 luglio. E anche stasera (ore 21), sul palco dell’anfiteatro delle Ciminiere di Catania, saliranno sul palco artisti che inseguono con tenacia e caparbietà un sogno, componendo in libertà, lontani dagli ingranaggi del business. Liberi, in una parola. Come Paola Turci, grande amica prima di Francesco e poi di Carmen.
O come Costanza Paternò, interessante talento siciliano che in compagnia del contrabbassista Alessandro Nobile si muove tra la canzone d’autore nostrana e il progetto “Musica Nuda” di Petra Magoni e Ferruccio Spinetti. O, ancora, come The Niro.
«La musica è la mia vita, fin da piccolo, giocando con la batteria di mio padre, sognavo di suonare». L’ha realizzato il suo sogno, e The Niro lo difende dalle sirene del mercato. Insistendo nel cantare in inglese e nel modellare la propria musica e la propria voce ispirandosi ai suoi idoli giovanili: l’America e Jeff Buckley.
«Ma non sono un esterofilo, ammiro molto Battisti, le sue canzoni sono attuali ancora oggi. E poi De André, Battiato». Già, perché dietro quel nome che profuma di cinema, si nasconde un ragazzo romano. Davide Combusti, sulla carta d’identità, trentenne di Montesacro.
The Niro non ha mai conosciuto Francesco Virlinzi, se non per sentito dire. «Però è stato importante l’incontro con Carmen Consoli – racconta – Io aprivo i suoi concerti londinesi e una sera c’era il responsabile della Universal inglese. Mi ascoltò e il giorno dopo telefonò ai responsabili italiani della Major segnalando il mio nome».
The Niro si chiamava la band con cui suonava all’alba del Duemila. «Quando il gruppo si sciolse, mi è rimasto il nome». E la determinazione. «Nella musica ho investito ogni risorsa – spiega – Suono ovunque mi chiamino, anche nei concerti in casa. Non spendo per gli abiti, mi taglio i capelli da solo, si vede no?». Ha gli occhi chiari, un ovale decisamente fotogenico, i basettoni irregolari. Ed è un po’ fuori allenamento. «E’ che da due settimane ho smesso di fumare ed ho messo su un po’ di chili». Che difficilmente riesce a smaltire davanti a una pasta alla norma, a una parmigiana di melenzane bianche o a una caponata con capperi di Salina, prelibatezze, «tutte siciliane», preparate da Nica Midulla per l’ospite.
The Niro ha tenuto concerti negli Stati Uniti, in Francia e in Gran Bretagna. E’ stimatissimo all’estero per le sue canzoni, per le sue liriche evocative. Lo hanno contattato anche produttori d’oltre Oceano, Eppure lui continua la sua “battaglia” in Italia. «Mi hanno chiesto più volte di cantare in italiano, l’anno scorso mi hanno anche invitato a Sanremo – dice – Ma la lingua inglese, dal punto di vista della metrica, mi offre maggiori libertà, riesce a coniugarsi meglio con la mia musica. Ho il timore che, usando l’italiano, le mie canzoni possano perdere tutta l’intensità, diventando retoriche». E, raccogliendo la chitarra scordata del piccolo Francesco jr. Virlinzi, dà un saggio delle sue capacità interpretative, delle sue enormi doti vocali. Da brividi.
Emozioni che stasera, insieme con la sua band elettrica, rafforzata dalle tastiere, trasmetterà al pubblico delle Ciminiere scorrazzando tra il suo ultimo album, Best wishes, ed il primo.
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