Attualità
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01/04/2008 12:59

Gianfranco Fini, il partito che non c’è, e le sedie vuote

di Redazione

Palermo ha vissuto la giornata più divertente della campagna elettorale siciliana. Divertente per chi ha assistito, non per i protagonisti. Per loro non c’è stato affatto da divertirsi, anzi.
Gianfranco Fini, segretario di AN, il partito che non c’è (o c’è fino a un certo punto), ed i vertici siciliani, in testa il segretario Scalia hanno avuto la loro giornata nera. Nerissima. Fini ha fatto una ramanzina così dura e veemente da costringere Scalia ad annunciare le sue dimissioni.
Motivo? Il comizio del leader, svoltosi al Cinema Imperia, in Piazza Politeama, registrava sedie vuote. Non molte, in verità, ma quanto basta per turbare l’amor proprio del leader. Segno indubbio di un impegno modesto, ne ha dedotto Fini. Due e due fanno quattro, insomma.
Solo il modesto impegno avrebbe potuto spiegare simili defezioni. Le piazze di AN sono state sempre piene, al passaggio di Fini si registrano bagni di folla.
Che a lasciare qualche sedia vuota fosse stata una causa diversa da quella ipotizzata non gli è venuto in mente. La domenica primaverile, la stanchezza della gente, la vetustà dei comizi, soppiantati dai talk show televisivi, gli argomenti scontati, la modesta credibilità dei leader. Di ragioni per spiegare le sedie vuote ce ne sarebbero state e come. Il fatto era che non avrebbero potute essere prese in considerazione. Sarebbe stato un suicidio.
E poi, quando si muove il Cavaliere la gente non sa dove trovare posto nei cinema e nelle piazze, tutto funziona a menadito. I dirigenti si danno da fare che è un piacere. Tappeto rosso, folla, urla di entusiasmo, nessuna pecca. Tutte quelle storie sul disinteresse, la stanchezza, non sono un buon motivo. Meritavano dunque una lezione i siciliani, e lezione è stata.
Tempesta in a pot, come dicono gli inglese? Forse.
La Russa, siciliano di Milano, ci ha messo subito una pezza, rendendosi conto che ch’episodio, questo sì, avrebbe potuto danneggiare l’immagine del partito che c’è ancora ma per poco,  e ha fatto sapere attraverso le agenzie che i dirigenti invitati a darsi una mossa (o rimossi, di fatto?) rimarranno dove si trovano fino alla conclusione della campagna elettorale, poi si vedrà.
Acqua sul fuoco hanno gettato anche altri dirigenti preoccupati con comunicati e parole dolci.
Se è stato La Russa il più lesto, una ragione c’è: lui ha vissuto l’esperienza in prima persona dell’ira finiana a causa di un a chiacchierata in un  bar con l’amico Gasparri. Tema della imprudente conversazione open air proprio Gianfranco Fini. I due amici, La Russa e Gasparri, che sono in confidenza, si sono lasciati andare in battute, lazzi e frizzi sul conto del leader maximo, senza sapere che nei paraggi c’era un giornalista con le orecchie tese. Risultato: la conversazione è finita sui giornali e Gianfranco Fini li ha dimissionati seduta stante. Poi, passata la buriana, il provvedimento è rientrato: il condono è arrivato. L’unica occasione in cui Fini abbia accettato l’indulto. Gaspari e La Russa sono tornati a fare il megafono di AN. Tutto dimenticato, dopo una breve penitenza.
Un poco di ragione Fini in quella circostanza ce l’aveva, ma fino a un certo punto. La facilità con cui il Presidente di AN dimissiona, mette in riga e rimbrotta, rivela sicuramente un dato di fatto: il partito gli consente di assumere ogni decisione senza bisogno di ascoltare alcuno. Insomma il partito c’è fino a un certo punto non solo perché si scioglierà nel PDL ma perché i suoi organi hanno una modesta capacità di decidere.
C’era una volta un gruppo dirigente, insomma ed ora non c’è più. Il verticismo ha compiuto  il percorso intero. Chi sta in testa può fare…di testa propria.
D’altra parte perché meravigliarsi delle sedie vuote palermitane pagate con le dimissioni del segretario regionale siciliano?
Gianfranco Fini ha annunciato pochi mesi fa che il partito si sarebbe sciolto nel PDL, senza farlo sapere quasi a nessuno, dopo avere per mesi detto peste e corna del Cavaliere Berlusconi che lo aveva messo di fronte al fatto compiuto, fabbricando un nuovo soggetto politico e invitandolo – dentro o fuori – a confluire. Che poi la cosa sia stata spiegata diversamente è comprensibile, ma la cronologia degli eventi non lascia dubbi: è stato il Cavaliere a condurre le danze e Fini a seguirlo nella sua tana. Prendere o lasciare, appunto. Che cosa l’aveva convinto? Le parole del Cavaliere, rassicuranti, o la prossima cacciata del competitor maximo, Pierferdinando Casini, che da lì a poco sarebbe stato espulso?
Decidete voi.
La questione essenziale, che non riguarda solo il partito di Fini, è la deriva oligarchica della politica italiana. I capi nominano senatori e deputati, i capi dimettono i dirigenti, liquidano i partiti, distribuiscono le risorse. Tutto.
E questo non interessa soltanto i simpatizzanti e gli elettori di AN, ma interessa i cittadini italiani.

 

Fonte: Siciliainformazioni.com