Acate - "Poco prima di sparire mi aveva telefonato rassicurandomi dei soldi che mi stava inviando, poi non ho più saputo nulla di lui. Queste cose possono accadere da noi, in Costa D'Avorio, ma è impossibile sparire nel nulla in uno Stato civilizzato come l'Italia". Così ci vedono ancora dall'altra parte del Mediterraneo, almeno Awa: moglie dell'ivoriano Daouda Diane, scomparso il 2 luglio scorso ad Acate (insieme nella foto) in circostanze rimaste oscure. "Era euforico all'idea di rivedere me e suo figlio dopo cinque anni passati a lavorare in Italia - dice la donna al telefono con l'Agi dal suo Paese -, non ci spieghiamo come si possa pensare a un allontanamento volontario".
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Avrebbero dovuto riabbracciarsi venerdì prossimo: "Aveva già acquistato, per circa 600 euro, il biglietto aereo di andata e ritorno per trascorrere con noi l'estate. Consegnateci mio marito o il suo corpo su cui pregare - implora la donna, suggerendo di continuare a cercare nell'ambiente di lavoro del marito e pregando la comunità acatese, ragusana e immigrata, di collaborare alle ricerche. "Molte volte si lamentava delle condizioni difficili in cui era costretto a lavorare - continua la moglie -, diceva che non è vero quello che si sente in giro sui lavoratori immigrati: in Italia si lavora in condizioni disumane e spesso si rischia anche la vita".
Chissà quale realtà esageratamente magnificata si dipinge tuttora agli occhi dei poveri migranti, ignari dell'incubo di emarginazione e razzismo a cui vanno incontro, del misero futuro che li attende una volta sbarcati in Sicilia. Certo sempre meglio della fame, della guerra, della carestia, delle malattie e delle altre sciagure da cui provengono. Douda lavorava in nero, senza contratto, in un cantiere edile da cui ha inviato un paio di video anche alla famiglia in Africa - prima di sparire nel nulla - lamentando mancanza di sicurezza: un cementificio dove si recava a chiamata, occasionalmente, per arrotondare con quattro soldi la paga che prendeva come mediatore linguistico e che, con tanti sacrifici personali, gli aveva consentito finora di pagarsi l'affitto e sostenere la famiglia in patria.
"Nonostante tutto non ci ha mai fatto mancare quei cento euro che ci hanno permesso in questi anni di andare avanti" dice Awa, che vorrebbe raggiungere Acate con il cognato e cercare personalmente il coniuge ma il viaggio aereo costa troppo e "al contrario di mio marito non ho passaporto, sono costretta a restare a casa e sperare". In quel cantiere, tra l'altro, ci sarebbero diversi pozzi, a quanto pare difficili però da controllare anche per cani molecolari e droni a infrarossi. La Federazione Usb Ragusa, promotrice della sensibilizzazione dell'opinione pubblica sul caso, ha avviato già una raccolta fondi per aiutare economicamente la famiglia. Segno che la speranza di ritrovarlo vivo è ormai ridotta a meno di un lumicino.