Palermo - Il tribunale di Palermo c’ha messo 7 anni a emettere una sentenza di primo grado con cui condanna l’Asp del capoluogo a risarcire con 53mila euro Provvidenza Badalamenti, a cui nel 2014 fu asportato a sua insaputa l'ovaio, durante un intervento chirurgico per una cisti ovarica. La donna, all’epoca 43enne e intenzionata ad avere un secondo figlio, ne aveva chiesti 250mila per danni fisici e morali, riconosciuti solo in minima parte. L’asportazione avvenne all'Ingrassia, dove tuttora lavora il suo ginecologo di fiducia Roberto Donato. In sala operatoria c’erano anche l'ex primario Massimo Petronio e il medico Michele Gulizzi.
Dimessa dopo due giorni, quando la paziente telefona a distanza di un mese per sapere se il referto dell'esame istologico fosse pronto, l’ospedale le risponde che era andato perduto. Lo sconforto s’impadronisce di Provvidenza - indotta a ripetere ogni tre mesi i marcatori tumorali, visto che non potrà mai sapere se quella cisti era maligna - tanto da chiedere a lavoro il passaggio al part time e finire in cura dallo psichiatra. Nel 2015 l'amara scoperta, grazie a una risonanza magnetica con mezzo di contrasto: l'ovaia sinistra non c'è più, sebbene risultasse nel referto delle due ecografie eseguite successivamente all'intervento nello studio privato del ginecologo.
Per i periti nominati dal giudice civile è "acclarato che era stato asportato l'ovaio sinistro, benché nella descrizione dell'operazione non fossero state segnalate difficoltà tecniche intra-operatorie o la presenza di aderenze che rendessero necessaria siffatta asportazione”; inoltre “a causa dello smarrimento del campione istologico prelevato era stata preclusa alla paziente la possibilità di escludere l'insorgenza di una neoplasia o endometriosi o altra patologia". Eppure "l'Asp di Palermo – rivela il marito, Pietro Bertolino - avrebbe espresso l'intenzione di fare appello contro la sentenza”, nonostante abbia tolto alla coppia la speranza di una seconda gravidanza.