Trapani - La Corte europea dei diritti umani ha condannato l’Italia per aver violato i diritti di un minorenne del Gambia, scambiato e trattato come un adulto. Un caso identico a quello raccontato su Ragusanews il 22 luglio scorso e riportato sempre da Il Dubbio. La differenza è nel periodo trascorso in detenzione con i maggiorenni, “solo” 4 mesi anziché 2 anni, e la data di approdo il Sicilia: il 29 giugno 2016, l’anno dopo lo sbarco del 16enne Moussa (che attende ancora giustizia). Quest’altro ragazzino fu chiuso in un centro d’accoglienza sovraffollato (oltre 1.400 detenuti a fronte di una capienza massima di 542) finendo – afferma il giornale diretto da Davide Varì - vittima di trattamenti inumani e degradanti.
Un centro senza riscaldamento e acqua calda, con bagni e banchi mensa insufficienti, poche attività educative e ricreative, assistenza sanitaria inadeguata, scarso accesso alle informazioni e all’assistenza legali e solo 25 operatori ad assistere la massa di migranti stipati in cella. Nella struttura circolavano coltelli, alcol, narcotici e durante il soggiorno del minorenne si verificarono episodi di violenza e prostituzione. Anche lui vi finì dopo un esame radiografico del polso e della mano, in base al quale venne considerato adulto nonostante lui affermasse di essere adolescente. Solo grazie ad alcuni avvocati e alla Corte di Strasburgo, ottenne un secondo esame che rivelò la vera età e il trasferimento in un centro per minori. La Cedu ha stabilito ora che lo Stato dovrà versargli 7.500 euro per danni morali e altri 4mila per le spese legali sostenute.
Il giovane non ha infatti beneficiato «delle garanzie procedurali minime» e il suo collocamento in un centro di accoglienza per adulti per più di quattro mesi «ha pregiudicato il suo diritto allo sviluppo personale e all’instaurazione e sviluppo di relazioni con altri: ciò avrebbe potuto essere evitato se il richiedente fosse stato collocato in un centro specializzato o presso genitori affidatari», misure adottate solo dopo «un considerevole lasso di tempo». Le autorità italiane non hanno garantito neanche «il rispetto della sua vita privata» e, ricordano i giudici Ue, l’accresciuto afflusso di migranti e richiedenti asilo «non esonera gli Stati membri del Consiglio d’Europa dai loro obblighi ai sensi» dell’articolo 3 della Convenzione, secondo cui «nessuno può essere sottoposto a tortura o a trattamenti o punizioni inumani o degradanti».