Ragusa - "Io e Roberto siamo cresciuti insieme nel lavoro, con nostro padre Pino, nelle serre del ragusano. Un impegno che non è per tutti, otto mesi all'anno a temperature impossibili per coltivare e produrre le primizie destinate al Nord dell'Italia e ai Paesi europei". A parlare con Repubblica è Giuseppe Savasta, 36 anni, fratello maggiore di Roberto: il 27enne deceduto un mese fa a Valguarnera, nell'ennese, dopo aver sfondato le lastre di onduline in vetrocemento, precipitando dal tetto del capannone durante il suo primo giorno del nuovo lavoro come operaio della Ma.Co.In. srl di Ragusa.
Un passato condiviso in agricoltura con il fratello, come il presente da operai specializzati nella rimozione di materiali pericolosi. Il futuro, invece, è scomparso improvvisamente, cancellato in pochi istanti. Giuseppe e Roberto, l'infanzia a Niscemi a metà strada tra Ragusa e Caltanissetta, il lavoro nelle serre, l'emigrazione in Francia dove sono diventati operai metalmeccanici, la vita dei trasfertisti con le famiglie a casa in attesa dei giorni di riposo ritagliati tra i mesi a Parigi e dintorni. Il cuore della famiglia di Roberto erano la giovane moglie e il piccolo Pino, 3 anni. Insopportabile la lontananza, quindi qualche mese fa il ritorno in Sicilia: "Non me ne vado più da qui", ripeteva agli amici.
A settembre era in programma il matrimonio in chiesa, dopo quello già celebrato al Comune. "Adesso che cerca e non trova papà, come dobbiamo fare per spiegare a Pino quello che è successo? Crescerà senza il padre. E mia cognata come potrà sopportare un dolore così? È un colpo di accetta, una pugnalata". Il fratello chiede giustizia e dice che, durante gli anni di lavoro in Francia, ha capito cosa significa la sicurezza sul lavoro. Un altro mondo. In Italia una media di tre lavoratori al giorno non fa ritorno a casa e "morire di lavoro" vuole essere un memento ininterrotto rivolto a istituzioni e politica, fino a quando avrà termine questo "crimine di pace", perché le vittime non siano più vite invisibili e dimenticate.