di Redazione

Il piacere della bicicletta, è quello stesso della libertà. Forse meglio di una liberazione andarsene ovunque, ad ogni momento, arrestandosi alla prima velleità di un capriccio, senza preoccupazioni come per un cavallo, senza servitù come in treno.
La bicicletta siamo ancora noi, che vinciamo lo spazio e il tempo. Stiamo in bilico e quindi nella indecisione di un gioco con la tranquilla sicurezza di vincere. Siamo soli. Senza nemmeno il contatto con la terra, che le nostre ruote sfiorano appena, quasi in balia del vento, contro il quale lottiamo come un uccello.
Il popolo del “biciclett-ismo” sciclitano, sta per uscire da una costretta quarantena agonistica lunga come la quaresima. I ciclisti di Scicli, ultimati gli impegni agonistici della scorsa stagione, hanno approntare un’altra annuale preparazione che porterà buoni risultati dal periodo delle gare primaverili in avanti.
A Scicli il ciclismo vive grazie ad un folto gruppo di cicloamatori. Compongono la squadra degli “Amici del pedale di Scicli”, un appassionato e selezionato insieme di persone amiche. L’età degli affiliati varia da 17 a 70 anni, l’impegno dedicato è funzione del tempo libero e delle modalità di lavoro di ciascuno, la passione per questo sport – sentimento che non invecchia con il passare degli anni – li accomuna.
In un ciclismo dalle prestazioni sempre più esasperate e livellate, e dove le specializzazioni tendono a sparire, bisogna essere pronti e competitivi da subito. Le metodiche di allenamento sono ormai a conoscenza di ognuno, la sosta invernale non esiste più.
I ciclisti di Scicli non si fermano mai.
I componenti del gruppo agonistico degli Amici del pedale – nonostante gli impegni di lavoro con orario lungo e le giornate invernali di luce corta – si allenano come possono, per perseguire gli obiettivi prefissati. Spinti dalla forza e dall¹orgoglio della passione, caricano l’attrezzo ciclistico in automobile alla ricerca di percorsi di sera illuminati. Delle volte si portano in contrada Sorda per inanellare chilometri di monotona pianura tra gli squallidi condomini dell’ultima periferia di Modica; oppure tra i nuovi ed articolati percorsi tra le case, d’inverno abbandonate, di Marina di Ragusa. Recentemente, per non allontanarsi dal paese, nell’illuminata di notte zona artigianale, oppure nello stradone tra Scicli e Donnalucata, salita di Genovese compresa. Così le sere invernali, dentro un pulviscolo di luce umida, pedalano con impegno zitti senza nessuna loquela, sopra il ronzio della catena tra i denti degli ingranaggi, curando il ritmo e la posizione. Non intravedono – se non lontanissimi – i giorni in cui verificheranno l’efficacia di quei sacrifici, mentre mulinano con solidarietà, tra il freddo che paralizza le guance e congela il respiro che si fa sentire fin dentro gli alveoli dei polmoni.
L’allenamento è alla base di ogni prestazione sportiva – specie se di resistenza – e i ciclisti sciclitani questo lo sanno. Quindi il rituale della seminagione invernale con accumulo di chilometri è di fondamentale importanza per far germogliare la successiva specializzazione del gesto per dopo seminare gli avversari. Per questo motivo pedalano, come forzati, tra paesaggi desolati di case spente, su recenti nastri di asfalto che bucano l’oscurità, non curanti del freddo notturno e del vento, sopiti nel silenzio dei propri pensieri, contano: pedalate, battiti al minuto, chilometri e pendenze. Da soli o in piccoli gruppi, condannati all’automatica ritmica del pedalare di un rapporto fisso.
Dopo una giornata di lavoro – spesso faticoso – raccogliere le forze residue per portarsi a diversi chilometri di distanza per allenarsi, richiede grande attaccamento a questo strano sport di espiazione, in effetti: di nessuna colpa. Tutto questo fardello di fatiche si sopporta, perché si proietta il beneficio del quotidiano sacrificio nella possibilità di un’azione brillante in una gara che verrà. Il ciclista è un uomo cocciuto, un lottatore che gareggia e sfida le asperità, gli altri e se stesso. Questa è la molla che governa ogni sua azione.
I ciclisti (tutti) pedalano tutto l’inverno come angeli senza ali. Non voleranno mai nella gloria del ciclismo, a loro non è concessa la notorietà, ma – alla fine – neppure tanto gli importa.
Quando le parole finiscono e nel concerto del pedalare in gruppo, si sentono solo i fiati come affanno ritmato, accelerato, che annebbia la vista e intorpidisce le membra: si è dentro quell’aura vivida di indescrivibile passione. Guardare la ruota di chi sta davanti, sentire il respiro raschiato di chi segue, non riuscire a sollevare la testa per vedere in faccia i compagni di viaggio, ma fissare solo il copertone che sotto si avvolge lento in salita al punto da contare i raggi nel loro lento girare, mentre la fatica percorre il corpo fino a diventare dolore: sono i chiari segni che si è vivi!
Il ciclismo, soprattutto, è metafisico perché mette l’uomo di fronte ai suoi limiti. Non dico solo le salite, la fatica, quelle sono parte del gioco. Il ciclismo è metafisico perché non puoi staccartene per il resto dell’anno e nessuna corsa finisce con il passaggio sotto lo striscione del traguardo.
Il ciclismo mette l’uomo di fronte ai suoi limiti, si diceva prima, ed è il motivo per cui – se ci avete fatto caso – in qualsiasi altro sport si spera nella sconfitta dell’avversario, mentre quando passa una corsa ciclistica si battono le mani senza distinzione, dal primo all’ultimo, e si battono le mani istintivamente. Accade per due motivi: primo perché, a furia di guardarli, li conosciamo tutti, e quelli che ancora non conosciamo siamo curiosi di conoscerli e capire dove possono arrivare e decifrare che persona sono, come reagiranno alla vittoria e alla sconfitta. Poi perché – ed è più importante – l’avversario del ciclista è fuori dalla corsa, non si tratta di un altro ciclista, ma dell’avvilente istinto a mettere il piede a terra, a piegarsi sul sellino a piangere perché non si riesce più ad andare avanti. Se il ciclismo iniziasse e finisse con la corsa, chi cade, chi cede, sarebbe uno sconfitto, un fallito e un reprobo; ma il ciclismo dura in eterno, si inventa giorno dopo giorno ancora e sempre, e tutti i tifosi spingono ogni corridore nella continua lotta contro sé stesso.
Eh sì: il ciclismo è un romanzo popolare, una sequenza di pagine scritte da uomini di grande coraggio e di grande fantasia. Pagine in cui via via rimbalzano i nomi di tanta gente – e anche dei ciclisti di Scicli – accostatasi alla bicicletta e mai più tradita, perché eroi romantici di questo magnifico sport.
Ellj Nolbia
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