Cultura
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29/04/2009 15:16

I miei sedici anni. Quando in autobus andavo a Modica all’insaputa dei miei

di Redazione

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Da una pagina del diario del moderatore.

“Cantami, o Diva, del Pelìde Achille

l’ira funesta che infiniti addusse

lutti agli Achei”

Federico non vuol credere al fatto che io sia timido.
“Si, certo, giornalista, moderatore di Sciclinews, tanti anni hai letto il telegiornale, e sei timido! Ma chi vuoi che ci creda?”
Federico ha 21 anni e questa estate ha voluto conoscermi. Ci siamo beccati al Pata Pata, a Sampieri.
Vive a Milano e studia architettura. Ma soprattutto è modicano.

Iniziai a frequentare Modica perché mi ero innamorato. Avevo sedici anni, ero timido già allora, e non sapevo come dirglielo. Sì, a lei, da che parte dovevo iniziare?
Prendevo l’autobus e di nascosto dai miei andavo a Modica nella speranza di incontrarla.
Al liceo ero un secchione. Studiavo, non avevo amici, e mi piacevano i modicani. Avevano una marcia in più rispetto a noi di Scicli. E poi mi piacevano le modicane. Anzi, una modicana, che non mi si filava neanche di striscio.
Non ero stato ancora invaso del tutto dalla passione per il giornalismo. Avrei voluto fare due cose: il compositore di musica e il costruttore di automobili. Mica sto a pettinare le bambole, dicevo tra me e me: compositore di musica pop, e costruttore di auto di lusso e da corsa.
L’unica rivista che ho sempre letto dall’età di dodici anni ad oggi (e sono trentasei) è il Quattroruote. Ricordo quando costava 3500 lire, e assaporavo l’odore di carta patinata che ogni pagina svelava, insieme alle anteprime: l’Autobianchi Y 10, col sedere tagliato, la Lancia Thema Ferrari 8.32. Otto cilindri, trentadue valvole. Un aborto di macchina, ma ai tempi sembrava fantascienza.
Traducevo dal latino e dal greco con difficoltà. Sei e mezzo, sette, sette e mezzo, qualche cinque. Nella mia vita fatta di passione per la musica, per le auto, per il giornalismo, e per la modicana di cui ho detto, c’era spazio anche per la Juventus e per la Ferrari.
E poi Sampieri, metro e misura del mondo. Il sabato pomeriggio andavamo a trovare nonno Peppe e nonna Ignazia. Facevo i giri in mountain bike al lungomare da solo e assaporavo il ricordo dell’estate, il desiderio della nuova stagione, quando anche i modicani, e le loro figlie, sarebbero tornate a vivere nella borgata.
C’era il “Fior Fiore”.
Era l’ombrellone a fiori dei modicani fighi, che rappresentava il riferimento per questa tribù di mezzosangue, sciclitani e modicani, che a Sampieri, terra di confine, diventavamo compaesani.
Ricordo bene il 1990, l’anno dei Mondiali di calcio. Schillaci aveva fatto un grande campionato d’esordio nella Juve, segnando tanti gol.
C’era una febbre collettiva che aveva contagiato tutti. E mentre in classe ripetevamo a memoria, con tono dissacrante, i versi dell’Iliade, aspettavamo il riscatto calcistico nazionale con ansia crescente.
Ricordo un servizio su Quattroruote, dedicato a un’auto che nessuno oggi conosce: la Cizeta Moroder.
A sognarla e a realizzarla è stato un grandissimo musicista contemporaneo, Giorgio Moroder, italiano, che vive negli Stati Uniti. Moroder è il papà della colonna sonora di Top Gun, de La Storia Infinita, solo per citare alcuni film.
Moroder, un nome che dimostrava la mia teoria: comporre musica e costruire auto non è una contraddizione. Si può.
La Cizeta Moroder non ebbe alcun successo commerciale e la fabbrica fu costretta a chiudere.
Quell’anno però Moroder ci regalò una canzone che ho riascoltato qualche giorno fa per caso, e che in maniera inattesa e quasi commovente ha fatto riaffiorare nella mia memoria il sapore acerbo di quell’anno. Ne avevo sedici, ed ero abbastanza timido.
La canzone faceva più o meno così: “Notti magiche, inseguendo un gol, sotto il cielo di un’estate italiana”.

Giuseppe Savà

Nella foto, la Cizeta Moroder