di Redazione

Milano – Cosa è l’architettura? A questa domanda Mies van der Rohe risponde in questo modo: “cosa è l’architettura?”. Sono poche, a mio parere, le domande che come risposta ammettono la domanda stessa.
Dare una risposta significa ammettere una verità, e in questo caso la verità è dinamica, si avvera di continuo. Noi possiamo andare al cinema, fare shopping, comunicare; ma il fatto di vivere un dato istante è regolato dalla percezione: percezione del tempo, percezione dello spazio. Il primo è la storia viva, il secondo è l’architettura.
Lo scenario in cui si svolge la vita di un uomo è l’architettura, e l’architettura ne determina l’agire. Io stesso cambio modo di vivere in base al luogo in cui mi muovo. E sebbene la Sicilia eserciti su di me il suo diritto di appartenenza, per dirla alla maniera di Manlio Sgalambro, è il genius loci, essenza della terra, a prevalere.
Entriamo nel problema. Cosa accadrebbe se Modica si svegliasse senza i palazzi di corso San Giorgio? o se una voragine inghiottisse via Mormino Penna a Scicli?
Il titolo parla chiaro. Il barocco va in frantumi. E poiché non viviamo tra le foreste del Borneo ma nel val di Noto, forse è il momento di capire che la questione, se non per interesse, quantomeno per prossimità, ci investe.
Il tempo e l’architettura sono per dirla metaforicamente come l’uomo e la donna, l’uno accompagna l’altro.
E così come il tempo ha fatto si che qui la pietra prendesse la forma dell’allegoria, allo stesso modo la pietra si abbandona al tempo, lasciandosi accarezzare, cedendo di volta in volta una parte di se.
Il problema è molto serio dal momento che a rischiare è tutto il patrimonio monumentale della nostra terra, e con lui, il nostro futuro. E’ necessario un intervento conservativo dei centri storici.
Già, dirà il lettore attento, ma quali?
Ci sono luoghi in cui il normale fluire del tempo è viziato dall’intelligenza dell’uomo. E così accade che quello che per alcuni luoghi è un bisogno attuale da almeno cent’anni, per altri è già una realtà consolidata da almeno trent’anni.
Questa è la meravigliosa storia della legge speciale sui centri storici di Ibla e Ortigia.
Che l’italia sia il paese delle emergenze lo sapevamo, ma alcuni luoghi hanno una specificità tutta loro. E così come per i gironi danteschi al canto quinto dell’inferno avremmo trovato Semiramide lussuriosa “che lìbito fé licito in sua legge | per tòrre il biasimo in che era sì rotta”, allo stesso modo, nella terra in cui le provincie non esistono per statuto ma per legge speciale, è una legge, speciale manco a dirlo, a stabilire che Ibla e Ortigia debbano essere conservate in tutto e per tutto. Con buona pace di San Giovanni a Scicli, di Palazzo Napolino Tomasi Rosso a Modica, del Duomo di Caltagirone e via dicendo.
La legge su Ibla è una legge prodigiosa che in 28 anni di provvisorietà ha versato nelle casse della città 119 milioni di euro (calcolati moltiplicando la somma rifinanziata 4.250.000 euro annui per 28 anni). Idem per Ortigia.
Rimane fuori da ogni dubbio il fatto che questa legge abbia prodotto splendidi risultati ridonando a Ragusa innanzitutto e alla provincia intera poi, un meraviglioso salotto in cui, credo tutti, ci riconosciamo.
Ma tutto quello che accade a Ibla si ferma a pochi metri, arrivando al massimo al centro di Ragusa. Modica e Scicli vivono ogni giorno l’umiliazione di un’architettura costretta alla morte.
Occorre prendere coscienza del fatto che la terra in cui viviamo non è più una terra solo nostra, e pertanto abbiamo il dovere di conservarla. Dal tempo di applicazione della legge Chessari 61/81 abbiamo tratto due insegnamenti: il primo è cosa si può fare di un luogo se c’è la volontà di tutelarlo, il secondo è cosa si può fare di un luogo se c’è la volontà di non tutelarlo.
L’architettura è la scena fissa della nostra esistenza, ma non è eterna. Il nostro obiettivo non è renderla immortale ma conservarla nelle sue forme e nella sua memoria. Bisogna che ognuno di noi comprenda che la nostra architettura è la nostra identità. Abbiamo costruito un nostro modello di sviluppo sulla grande concentrazione di beni architettonici ed è attorno a questi monumenti che le nostre città devono costruire il loro futuro.
C’è bisogno di un intervento strutturato e di qualità sul patrimonio, che non può essere fatto a scapito di altre realtà. Non si può farlo a Modica e Scicli a scapito di Ragusa. Non lo si può continuare a fare a Ragusa a scapito di Modica e Scicli. Lo dico con le parole dell’allora presidente del consiglio provinciale Nello Di Pasquale, ora sindaco di Ragusa, che in un consiglio comunale aperto del 2003 a Scicli ebbe a dire: “occorre pensare ad una nuova legge, che non sia necessariamente rimodulazione della legge su Ibla, che tuteli anche gli altri centri storici riconosciuti patrimonio dell’Unesco”. Allora ne scaturì un’iniziativa pregevole del storico Nifosì.
Oggi occorre che tutti capiscano l’importanza di tutelare la nostra identità architettonica e suscitino, anche sottoscrivendo questo appello, il bisogno di arrestare l’inesorabile agonia del barocco.
Federico Roccasalva
Milano
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