Storia di un'istituzione
di Sergio Sciacca

Catania – 17 marzo 1861: ufficialmente viene proclamato il Regno d’Italia. Già da qualche mese (dal 17 ottobre 1860) era stato istituito a Catania il liceo classico che in seguito prese il nome di Nicola Spedalieri. Dunque la cronaca di questo liceo classico che per diversi decenni fu l’unico della provincia, abbraccia la storia dell’Italia Unita e in misura rilevante ne ha costruite le fortune. Se, come dicono alcuni storici francesi, la vera storia non è quella dei grandi eventi politici, ma quella dei fatti quotidiani che coinvolgono le persone comuni nel loro ordinario lavoro, la storia del liceo Spedalieri è significativa di quella italiana: dei suoi ardori risorgimentali, della sua gagliarda vivacità culturale nella prima metà del Novecento; della sua radicale trasformazione a partire dalla Liberazione. Tra le sue pareti, tanto per esemplificare, sono passati nei tre cinquantenni della sua esistenza, personaggi che hanno contribuito alla civiltà italiana come il Vate Mario Rapisarda, il marchese di Sangiuliano e Pippo Baudo. Il primo osò mantenere la fierezza del libero pensiero (in odore di anarchia) anche quando Carducci piegò la fronte davanti alla Monarchia; il marchese (disceso dalla dinastia dei Viceré) come ministro degli Esteri forgiò la politica internazionale del nostro Paese negli anni della Grande Guerra; di Pippo Baudo tutti sanno che ha creato il linguaggio televisivo che ha diffuso la cultura anche negli strati più popolari, senza mai cedere alle sguaiataggini che vi si sono insinuate negli ultimi anni.
Chi andasse a rovistare nell’archivio del Liceo (che ancora attende studi non occasionali) potrebbe dedurne dati di gran significato per l’evoluzione culturale non solo di Catania, ma anche del Paese. Basta un esempio. C’è stata in Italia per qualche decennio la carica dei centisti (che talora vengono sconfessati dall’impatto con i test universitari): Ercole Patti, uno dei maestri della letteratura italiana, si diplomò allo Spedalieri con tutti sei, e gli fu pure rifilato “uno” in inglese (dovette riparare a ottobre quando prese “cinque” allo scritto e “sette” all’orale.) Era il 1921, più o meno nello stesso sistema scolastico in cui Montale rimediò una bocciatura e Salvatore Quasimodo andava a lezioni private per superare da esterno l’esame di maturità classica.
Sono cambiati i soggetti della scuola italiana dalle camicie rosse di Garibaldi a quelle nere di Mussolini alle T shirt di oggi. Ma lo Spedalieri insegna anche l’asprezza della lotte ideologiche in un secolo e mezzo. Partiamo dalla fondazione che fu voluta dal governo garibaldino che non simpatizzava affatto con la Chiesa e che con la creazione del Liceo intendeva sottrarre alla dottrina ecclesiastica la formazione della futura classe dirigente. In questo senso si spiega anche l’opera di Rapisarda, autore del poema a Lucifero (il diavolo!) che vi occupò la cattedra di italiano. Ma il nostro è il Paese dei colpi bassi e inaspettati. La prima sede del Liceo fu nel palazzo del Seminario in piazza duomo e il primo preside fu monsignor Giuseppe Coco Zanghì, persona di altissimo sapere, riconosciuto da tutti, ma che evidentemente sconfessava le intenzioni laiche della fondazione. Nel 1865 il liceo fu intitolato a Nicola Spedalieri (1740-1795): un modo per mettere d’accordo le due anime (quella laica e quella religiosa che se lo contendevano dalle origini). Nativo di Bronte era prete e divenne teologo di fiducia del papa; ma soprattutto scrisse i sei libri Dei Diritti dell’uomo (1791) con cui interpretava in senso cattolico i princìpi di libertà della Rivoluzione Francese (il libro sarà ristampato integralmente a Catania solo nel 1940 per le cure di un altro sacerdote scomodo, Vincenzo Schilirò). Un colpo contro la presidenza di monsignor Zanghì? Forse, dato che siano nella terra dei Guelfi e dei Ghibellini, dove però molti sono pronti a rivestire la casacca degli avversari (già Dante era un Guelfo che tifava per i Ghibellini…): e le schermaglie continuarono quando il liceo si trasferì nel monumentale convento dei Benedettini (che adesso ospita la Facoltà di Lettere) di cui era stato abate l’arcivescovo Dusmet, quello stesso che condannò pubblicamente il poema scandaloso di Mario Rapisardi.
Lasciamo le controversie: allo Spedalieri insegnò lettere classiche Girolamo Vitelli, che poi illustrò l’Università di Firenze; vi insegnò filosofia Ettore Zoccoli che tradusse in italiano le opere del filosofo tedesco dell’anarchia, Stirner (il “Vasta fronte”); insegnò greco Alessandro Veniero autore di monografie su Paolo Silenziario, uno dei poeti più arditamente sensuali del’Anthologia Palatina; insegnò latino Francesco Guglielmino che divenne più famoso per le sue poesie in siciliano (“Ciuri di strata”) e lasciò la sua cattedra ad Emanuele Rapisarda, anche lui passato all’università di Catania dove fondò il centro di studi sul cristianesimo antico. Insegnò lingue straniere allo Spedalieri Tito Manlio Manzella (poi chiamato all’Università) padre di Igor Man (il celebre giornalista)…
E se i maestri sono stati illustri, non da meno furono alcuni allievi: c’è stato Concetto Marchesi, una delle menti più lucide della cultura italiana e soprattutto uno dei pochissimi che non firmò l’adesione al fascismo in anni in cui questo significava esporsi a pesanti provvedimenti; c’è stato Corrado Barbagallo, storico di levatura nazionale. Vi studiò Francesco Lanza, autore di arguti Mimi siciliani e di opere teatrali che di recente sono state rivalutate grazie agli studi di Sarah Zappulla Muscarà; è uscito dallo Spedalieri Vitaliano Brancati, il cardinale Salvatore Pappalardo, il presidente della corte costituzionale Antonio La Pergola e Luciano Modica professore di analisi matematica alla normale di Pisa e presidente della conferenza dei Rettori delle università italiane…
Una fucina di ingegni che in un secolo e mezzo ha messo assieme un bel pezzo della storia italiana, intarsiandone le componenti più diverse e smussandone le asperità. Con il bulino della conoscenza e la cera dell’intelligenza che leviga i contrasti irriducibili.
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