Madrid la nuova Babilonia; Gerusalemme la Città Santa per eccellenza
di Un Uomo Libero

Madrid e Gerusalemme, luoghi entrambi dell’anima. Madrid, la città dell’angelo caduto, la nuova Babilonia; Gerusalemme, la città degli angeli, la Città Santa per eccellenza.
Nel mezzo il mistero della morte, incomprensibile e assurdo, vissuto dagli uomini spesso come vendetta divina, come negazione della bontà di Dio.
La donna, protagonista vera del nuovo racconto di Un Uomo Libero, così vive la morte del marito. In lei, come prima in Lucifero, la ribellione si fa sfida a Dio..
In Memoria
-Tu non ci crederai, – insisteva José Luis –questa storia, però, è vera.-
Passeggiavamo giorni fa, José Luis ed io, lungo i viali del Retiro di Madrid, uno dei parchi più belli d’Europa. Un pomeriggio di ottobre tiepido, straordinariamente tiepido. Il laghetto con le sue barche era immobile sotto lo sguardo ardito di Alfonso XII in groppa al suo cavallo di bronzo. Amavo questo fantastico parco madrileño nel quale, alla fine dell’Ottocento, un gruppo d’intellettuali collocò coraggiosamente un monumento all’Angelo caduto.
Uno dei pochissimi al mondo, di sicuro il più celebre.
Il Retiro è un parco nel quale il mistero si confonde con la bellezza della natura, ricreata con intelligenza in ogni suo angolo, in ogni suo aspetto. Professore dell’Istituto Politecnico Nazionale del Messico, una delle migliori università scientifiche di quel paese, José Luis era venuto da Città del Messico a Madrid con una borsa di studio per approfondire le sue conoscenze di Statistica. Era abbastanza giovane, sui trentacinque anni. Un corpo tarchiato, da montanaro. Capelli nerissimi inquadravano una fronte alta e spaziosa, occhi scuri e vivi, una piccola pancetta, baffi folti alla Pancho Villa e un sorriso gioviale sulle labbra sempre.
L’avevo conosciuto per caso proprio là, al Retiro, dove volentieri amava rilassarsi facendo, come molti giovani madrileñi della sua età, jogging e ginnastica nelle ore libere. Lo guardavo, ora, sorpreso mentre il suo sguardo si perdeva inseguendo i pensieri sull’oro liquefatto del laghetto artificiale.
-Perché dici che non dovrei credere alla tua storia?- Domandai con molta logica.
-Perché io stesso, a distanza di qualche anno, non riesco nemmeno a crederla come realmente accaduta.- Rispose. – Ero disperato. –Continuò.
– Ero arrivato da qualche settimana a Madrid da Città del Messico. Non conoscevo questa città. L’Europa però mi aveva tanto affascinato da ragazzo che, quando mi comunicarono la nuova destinazione, feci subito le valigie, prenotai il primo volo in partenza e venni senza nessun indugio. Madrid è molto più piccola di Città del Messico eppure il suo fascino antico, le sue atmosfere spagnole mi conquistarono a tal punto da farmi dimenticare il Messico e, con il Messico, gli amici, la famiglia, gli impegni assunti con l’università. Avevo preso in affitto una stanza in una pensione vicino alla Gran Via, però non potevo stare per sempre là. Non potevo permettermelo. La borsa di studio appena mi aiutava a sopravvivere.
Feci molte telefonate consultando annunci apparsi in Internet o su giornali specializzati. Alla fine trovai una camera tutta per me in un appartamento affittato da tre ragazzi argentini dalle parti di Elipa le cui finestre davano proprio sul camposanto dell’Almudena, il più grande complesso monumentale cimiteriale dell’Europa occidentale. Per questo i ragazzi avevano avuto delle difficoltà ad affittare quella camera. Accettai subito e mi trasferii lo stesso giorno.
La nuova abitazione era un po’ lontana, anzi direi decentrata rispetto all’università, in compenso pagavo poco e tutto intorno era un gran silenzio. Avevo trovato, infatti, la stanza ideale per il mio lavoro anche perché la presenza di una necropoli non produceva in me nessun effetto, nessuna suggestione.
Da un pezzo non credevo in niente e la morte, ero convinto, sigillava l’avventura di un uomo come la nascita ne segnava l’inizio. A poco a poco cominciai a conoscere il mio quartiere, la sua gente, i suoi negozi, le strade che spesso di notte rimanevano al buio. Per necessità, dovetti subito imparare i numeri degli autobus urbani che collegavano il centro con quell’estrema periferia e l’ubicazione delle loro fermate comprese quelle della metropolitana. In effetti, raggiungere l’università da quel luogo era come fare un percorso ad ostacoli.
Mi abituai comunque. – José Luis fece una pausa, forse per prendere fiato.
-E allora?- Domandai, approfittando della sua interruzione. –Non mi dire che di notte vedevi i fantasmi nel cimitero! Sai, anch’io ho avuto un’avventura simile ma dei fantasmi neppure l’ombra. Dopo tanti tentennamenti, avevo deciso, anni fa, di visitare Gerusalemme. Lo feci con un gruppo di pellegrini di Madrid. Atterrammo, io e gli spagnoli, in Israele nel tardo pomeriggio di un luglio caldo e appiccicoso. Un pullman ci raccolse in aeroporto a Tel Aviv e, tra una sosta e l’altra, ci trasferì direttamente alla Città Santa. Nelle immediate vicinanze, dopo una discreta salita, l’autobus si fermò e, da quel posto suggestivo e panoramico, Gerusalemme all’improvviso ci apparve con le sue antiche mura, le porte, la cupola d’oro della moschea di Omar e l’altra tozza e scura del Santo Sepolcro.
Arrivammo in albergo stanchi. Uno stabile datato, l’hotel, non molto distante dalla famosa Porta di Damasco. Subito ci assegnarono le camere e ci raccomandarono di non perdere molto tempo nel sistemarci perché la cena era pronta. Quando terminammo di cenare, fuori era già buio. Io salii in camera, ebbi il tempo di disfare le valigie e caddi, spossato, in un sonno profondo. La mattina dopo ero molto più rilassato.
Col sonno avevo recuperato le forze. Mi svegliai di buon umore. Aprii la finestra della mia stanza ma un muro alto un paio di metri, che conteneva un terrapieno, m’impedì di guardare un qualsiasi orizzonte. Osservai meglio quella terrazza e mi resi subito conto, per la presenza di tombe, che avevo dormito dentro un cimitero.
Mi vestii in fretta. Bussai, furioso, alla porta del capogruppo e lo obbligai a venire nella mia camera per fargli constatare di persona quello che ancora i miei occhi non volevano credere. Scendemmo giù alla reception dell’hotel per presentare una vibrata protesta e chiedere un’altra sistemazione.
Non ottenemmo nulla. L’albergo era in overbooking.
L’impiegato ascoltava con sorpresa le nostre rimostranze e non sapeva spiegarsene il motivo. Ero stato molto fortunato, anzi, ad avere una camera come quella, dichiarò alla fine al capogruppo l’uomo. Altri, invece, erano stati alloggiati, a sentir lui, in camerini o in un albergo di categoria inferiore distante e scadente. Dovetti rassegnarmi a convivere con le tombe di un cimitero, dunque. Chiusi gli scuri della finestra e dimenticai che dietro c’erano solo ed esclusivamente sepolture.
Alla fine del viaggio conclusi che anche quella era stata un’esperienza. Magari macabra ma di sicuro interessante. Perché forse tu non lo sai, a Gerusalemme la Storia si misura a palmo a palmo.
– Sorrisi. José Luis mi guardò con aria interrogativa senza capire l’opportunità di quel sorriso.
-No! –Esclamò. – La mia storia non somiglia alla tua. – Mi spiegò poi.
-La mia storia è così strana, come già ti ho detto, che a volte mi sembra di averla sognata. Il fatto di cui ti parlo accadde un pomeriggio di un aprile di due anni fa. Dall’università ero ritornato a casa prima del previsto. Avevo voglia di fare una passeggiata. Un sole abbastanza caldo, i prati verdissimi. Non avevo mai visitato il cimitero.
“Perché non farlo?” mi chiesi. Varcai il cancello e cominciai ad andare per uno dei viali principali con quell’aria greve che il luogo richiede. In lontananza, vidi un piccolo gruppo di persone assistere alla tumulazione di una salma. Mi avvicinai curioso. Non erano tanti. Tre donne e due uomini. Una di loro, ancora molto giovane e bella, vestiva di nero, occhiali da sole agli occhi per nascondere un dolore intimo e privato che non aveva forse più lacrime. Mi allontanai per un senso di rispetto ma anche per un segreto rifiuto della morte.
Gironzolai per altri viali. Il sole si era notevolmente abbassato sull’orizzonte e il tempo era volato mentre leggevo i nomi scolpiti sulle lapidi. Ritornai verso l’entrata. Ritrovai il viale che avevo percorso prima e notai che il gruppetto non c’era più. Solo la donna, in gramaglie e senza gli occhiali da sole, era rimasta. Mi avvicinai a lei un po’ per curiosità e un po’ perché quella donna sola mi faceva pena.
Era seduta su un piccolo muretto dell’aiuola antistante, la testa bassa, il corpo abbandonato. Al rumore dei miei passi, alzò il capo, sorpresa, e mi guardò con occhi stanchi e arrossati.
-Ma io ti conosco!- Esclamai. –Tu sei Macarena, abiti dirimpetto alla mia finestra, nel palazzo di fronte, ci siamo incontrati spesso al supermercato, ti ricordi?-
La donna parve risvegliarsi da un sonno profondo. -Si. – Mormorò con un filo di voce. – Ti riconosco. Sei il professore messicano tanto gentile che più di una volta mi ha aiutato a portare le pesanti borse della spesa fino a casa. –
E non aggiunse altro. Ero impacciato, confuso.
-Era tuo marito, vero, l’uomo che hanno sepolto?- Domandai timidamente dopo una lunga pausa.
-Si.- Annuì la donna. Per convincersi anche lei di quella verità.
-Che cosa gli è successo?- Farfugliai. -Un incidente stradale. Una settimana fa. Una lunga corsa verso l’ospedale inseguendo una speranza che presto molto presto ci tradì, ci abbandonò.
– -Te doy mi más sentido pésame(1). –E le strinsi forte la mano per farle le condoglianze.
Lei mi guardò a lungo senza parole.
-Forse sarebbe meglio che tu mi dessi il tuo numero di telefono. – Rispose, infine.
– Stanotte sarà dura per me. Se avrò bisogno, ti chiamo.- Rimasi allibito. Non volevo pensare a cose diverse e strane. Piuttosto a un bisogno di compagnia in un momento di tanta solitudine. Le scrissi in un pezzo di carta il mio numero di telefono e la lasciai là a piangere sulla sua pena.
– José Luis fece un’altra pausa.
-E poi come finì la storia? La signora ti chiamò?- Lo interruppi impaziente.
-Caspita, eccome! Alle dieci di sera in punto, squilla il mio cellulare. Era lei. M’informava che era già a casa e mi aspettava
.- -E tu sei andato?- Lo incalzai, malizioso.
-Volando. Tutta la notte abbiamo fatto l’amore. Una donna fantastica!- -Ma come ha potuto? Dopo un lutto così grave?- Borbottai inorridito. – Anch’io pensavo la stessa cosa e gliela dissi, il giorno dopo, quando ci risvegliammo abbracciati.
– Continuò José Luis – Sai che cosa mi ha risposto? Che il marito prima di morire le aveva raccomandato di non farsi distruggere dal dolore, di rifarsi subito un’altra vita, di cercare un altro uomo, perché in quell’altro lui avrebbe continuato a vivere e ad amarla
.- – Ti sei incontrato spesso con lei, dunque?
– -No, solo quella volta! –Rispose con voce malinconica Josè Luis. – E avrei voluto incontrarla ancora. Lei dopo quella notte scomparve dalla mia vita ed io persi definitivamente ogni sua traccia. La cercai, con disperazione, senza trovarla. Chiesi ai vicini, ai conoscenti. Niente. Era come svanita nel nulla, nessuno nel suo stabile si ricordava più di lei. Forse fuggì lontano o non seppe sopravvivere a quel dolore. – Concluse.
-Pensi davvero che si sarà lasciata morire d’amore per lui o era solo un fantasma?- Azzardai.
-Non saprei dirti. Di una cosa sono sicuro. -Aggiunse José Luis. – Se sarà veramente esistita, doveva amarlo tanto.-
Lucifero guardava ostinatamente dall’alto del suo piedestallo verso il cielo. Rabbioso, ribelle. Si fece un gran silenzio tra di noi. Solo l’acqua che sgorgava zampillando dalla fontana conosceva l’epilogo vero di quella strana storia. Ma non volle raccontarcelo.
Un Uomo Libero
(1)Te doy mi más sentido pésame = Ti faccio le mie più sentite condoglianze
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