Economia
|
07/01/2011 01:58

In principio fu il Banco. Storia del Credito in Sicilia

Il furto delle monete d'oro

di Redazione

Banco di Sicilia
Banco di Sicilia

Palermo – A leggere con attenzione le cronache sull’Unità d’Italia per quanto riguarda il Meridione, non c’è da fare salti di gioia. Tutti descrivono come il Sud sia stato derubato dal Nord che si appropriò delle monete d’oro. Carlo Coppola in Controstoria dell’Unità d’Italia (M.C.E. Editore) cita lo storico Nicola Zitara secondo cui la montagna di denaro circolante al Sud avrebbe fornito cinquecento milioni di monete d’oro e d’argento, una massa imponente da destinare a riserva, su cui la banca d’emissione sarda – che in quel momento ne aveva soltanto per cento milioni – avrebbe potuto costruire un castello di cartamoneta bancaria alto… tre miliardi. “Come il Diavolo, Bombrini, Bastogi e Balduino (titolari e fondatori della banca, che sarebbe poi divenuta Banca d’Italia) non tessevano e non filavano, eppure avevano messo su bottega per vendere lana. Insomma, per i piemontesi, il saccheggio del Sud era l’unica risposta a portata di mano, per tentare di superare i guai in cui s’erano messi” dice ancora Coppola secondo cui a seguito dell’occupazione piemontese fu immediatamente impedito al Banco delle Due Sicilie (diviso poi in Banco di Napoli e Banco di Sicilia) di rastrellare dal mercato le proprie monete per trasformarle in carta moneta così come previsto dall’ordinamento piemontese, poiché in tal modo i banchi avrebbero potuto emettere carta moneta per un valore di 1200 milioni e avrebbero potuto controllare tutto il mercato finanziario italiano (benché ai due banchi fu consentito di emettere carta moneta ancora per qualche anno). Quell’oro, invece, attraverso apposite manovre passò nelle casse piemontesi.
Tuttavia nella riserva della nuova Banca d’Italia, non risultò esserci tutto l’oro incamerato. Evidentemente parte di questo aveva preso altre vie, che per la maggior parte furono quelle della costituzione e finanziamento di imprese al nord operato da nuove banche del nord che avrebbero investito al nord, ma con gli enormi capitali rastrellati al sud.
Il colpo di grazia all’economia del sud – dice ancora Coppola – fu dato sommando il debito pubblico piemontese, enorme nel 1859 (lo stato più indebitato d’Europa), all’irrilevante debito pubblico del Regno delle due Sicilie, dotato di un sistema di finanza pubblica che forse rigidamente poco investiva, ma che pochissimo prelevava dalle tasche dei propri sudditi.
La storia del Banco di Sicilia si snocciola tra l’antico e il moderno e inizia nel 1867. Da quell’anno e fino al 1926 il Banco opera anche come istituto di emissione, battendo moneta al pari di Banco di Napoli e Banca d’Italia.
Il Banco di Sicilia fino al 1990 è un istituto di diritto pubblico. Successivamente interviene la legge Amato-Carli e il Banco di Sicilia si trasforma in società per azioni.
E’ una storia affascinante quella del Banco. Una storia che, un po’ come tutte le storie, soprattutto se lunghe, passa anche attraverso pagine nere, nerissime che hanno fatto temere per la sua stessa esistenza. L’uccisione del direttore Notarbartolo e, più recentemente, il salvataggio della Cassa Centrale di Risparmio Vittorio Emanuele rappresentano momenti clou di questa storia.
L’avere evitato il fallimento di un altro Istituto radicato nell’Isola, l’aver salvato dal lastrico migliaia di dipendenti della ex Sicilcassa, ha creato un alone di simpatia nei confronti del Banco di Sicilia, divenuto nel frattempo il fiore all’occhiello del credito siciliano. Magari soltanto per il nome che si porta addosso. Visto che, nel frattempo, tutte le banche nate in Sicilia erano state acquisite da istituti di credito forestieri e avevano cambiato nome. Le due uniche eccezioni erano e sono rappresentate dal Credito Siciliano (Gruppo Bancario Credito Valtellinese) e la Banca Agricola Popolare di Ragusa, sempre molto corteggiata ma assolutamente incedibile. Parola del presidente Giovanni Cartia e dei più importanti soci iblei.
Il Banco di Sicilia e la sua storia. La più recente porta le firme di Ottavio Salomone, Guido Savagnone, Salvatore La Francesca. Ma una citazione merita anche Gerlando Miccichè, vice direttore generale negli anni ’70. E, ancora più vicino a noi, da citare la gestione Caletti, dal ’94 al ’98 e dal 2000 al 2003. E quindi la gestione affidata a Beniamino Anselmi. E quella più recente che ha visto la direzione del Sicilbanco affidata a Roberto Bertola (amministratore delegato fino allo scorso ottobre) e Ivan Lo Bello (presidente fino allo scorso ottobre). Mi piace sottolineare che in quest’ultimo periodo, per la prima volta nella storia del Banco di Sicilia, due donne entrarono a far parte del CdA. Le imprenditrici José Rallo, a capo dell’azienda vitivinicola Donnafugata, e Marialuisa Averna, amministratore delegato dell’omonima azienda.
Il Sicilbanco è stato l’erede di una tradizione bancaria che già nel XV secolo vide operare in Sicilia i primi banchi pubblici. Ma è negli anni immediatamente precedenti l’unità d’Italia che comincia a delinearsi la struttura del moderno Banco di Sicilia.
Nel 1843 il «Banco delle Due Sicilie» istituisce a Palermo e a Messina due «Casse di Corte» che poi, nel 1848, a seguito dei moti rivoluzionari, vengono riunite nel Banco di Sicilia. Nel 1850 quest’ultimo si trasforma nel «Banco Regio dei Reali Domini al di là del Faro», per poi riprendere nel 1867, dopo l’impresa dei Mille e la costituzione del governo provvisorio, la precedente denominazione di Banco di Sicilia.
A partire dal 1870 il Banco di Sicilia è autorizzato all’apertura di sedi o succursali in altre città dell’isola e nella penisola e all’emissione di cartamoneta per conto dello Stato italiano, attività questa che viene espletata fino al 1926.
In una storia, seppur minima, del Banco non si può prescindere dal citare lo scandalo Notarbartolo, il direttore che aveva denunciato malcostume politico e finanziario e venne ucciso.
Dal 1876 Emanuele Notarbartolo si occupava a tempo pieno del Banco di Sicilia, cercando con la sua autorità di riorganizzare il sistema bancario che era stato scosso dopo l’Unità d’Italia. Inoltre il Banco di Sicilia era sull’orlo del fallimento, e l’opera di Notarbartolo evitò di far collassare l’economia siciliana. Il suo lavoro al Banco di Sicilia cominciò a inimicargli molta gente. Il consiglio della banca era composto principalmente da politici, molti dei quali legati alla mafia locale. Il primo febbraio 1893, nel tragitto in treno tra Termini Imerese e Trabia, Notarbartolo venne ucciso con 27 colpi di pugnale da Matteo Filippello e Giuseppe Fontana, legati alla mafia siciliana. Questo caso avrebbe acceso un importante dibattito sulla situazione della mafia in Sicilia e in Italia e, soprattutto, sulla collusione tra mafia e politica.
In anni più recenti avvengono numerose modifiche all’assetto aziendale e societario del BdS, oggi tra le prime banche in Italia, dal 1° ottobre 2007 parte del Gruppo UniCredit e presente con circa 550 sportelli su tutto il territorio nazionale.
Dal primo novembre 2010 del Banco rimane soltanto l’insegna. Si chiude una storia siciliana, con l’incorporazione in UniCredit se ne apre una nazionale.