Pubblichiamo l'articolo di Lucia Nifosì su Italo, apparso sul Giornale di Scicli in occasione della Mostra del Brancati, Natale 09
di Lucia Nifosì
Scicli – Italo Barocco è un po’ come Forrest Gump. Solo che lui, invece di correre da una parte all’altra degli Stati Uniti d’America ha scelto di correre da una parte all’altra di un mondo un tantino più piccolo. Ti guarda con i suoi grandi occhi liquidi, senza vuoti, senza vie di fuga e sembra voler dire “Di solito corro per andare dove sto andando”. Solo che, queste parole Italo Barocco non le potrà mai dire, se non in una lingua altra, lui non è Forrest Gump, lui non è nemmeno un uomo, lui è un cane.
Spuntato dal nulla, un po’ per caso, un po’ per magia –la stessa che sembra avvolgerlo quando passeggia lungo le vie della città con quella sua andatura pesante, ritmica, picchiettando le basole, o quando riposa tranquillamente nei pressi del Municipio, Italo Barocco è stato adottato dalla città e, come Forrest Gump, è diventato una celebrità. Poco tempo fa una troupe di giornalisti in visita a Scicli per una “intervista” a Italo Barocco chiesero timidamente “possiamo svegliarlo?” intimoriti non si sa se dalla taglia di Italo o dal timore reverenziale nei confronti di chi, suo malgrado, in una società antropocentrica, costituisce una eccezione. Italo Barocco ha oramai una agenda fitta di impegni: da una serata in pizzeria all’inaugurazione di un wine bar, da un concerto in piazza a un tour della città in compagnia di viaggiatori al seguito di guida turistica. Non manca mai ai matrimoni, alle feste religiose, ai funerali ai quali assiste con il muso chino e all’uscita delle messe. E se Forrest Gump ricevette direttamente dal Presidente degli Stai Uniti Lindon Jhonson, la medaglia al valore per essersi distinto durante la guerra in Vietnam, Italo Barocco aspira ad essere insignito del Premio Scicli che, per un soffio, lo scorso anno mancò attendendo invano di fare il suo ingresso trionfale sul parterre del Teatro Italia.
Domenica 20 dicembre il Movimento Culturale Vitaliano Brancati, in occasione del Natale, ha inaugurato una mostra dedicata a Italo Barocco. Venticinque artisti hanno presentato una’opera nella quale viene ritratto questo biondo esemplare di “pastore sciclitano” così come è stato definito da Lela Pupillo nel suo omaggio a Italo in un lavoro che fa parte della esposizione.
Nella storia dell’arte si contano numerosi i cani che compaiono all’interno delle opere. Il cane, più amato del gatto in pittura (quest’ultimo identificato spesso come un animale dal carattere diabolico, inaffidabile e nei confronti del quale esistono numerosi pregiudizi), fa la sua parte all’interno delle opere più come comparsa o simbolo che come protagonista assoluto. Italo Barocco, nella mostra che il Brancati ha voluto dedicargli, non è come i cagnolini di piccola taglia e un po’ snob dipinti da Veronese, non è il cagnolino tenero e capriccioso accucciato ai piedi della Venere di Urbino di Tiziano, non è uno dei levrieri di un artista raffinato, involuto, come Parmigianino, non è il grosso cane nero che accompagna Courbet in un noto autoritratto intolato “Autoritratto con cane”, un cane del quale non sapremo mai il nome. Italo Barocco, sebbene una vaga somiglianza, non è neanche il cagnone annoiato in posa nella scena dipinta da Velasquez in una delle sue più celebri opere, Las Meninas. Italo Barocco è Italo Barocco, ha un nome, non è comparsa, non è figurante, non è macchietta.
Alcune delle immagini più belle sul cane ci vengono invece dalla letteratura; come non ricordare il ritratto di Pablo Neruda nella sua Ode al Cane dove scrive: “ i suoi occhi sono due domande umide, due fiamme liquide interroganti”, o ancora, Bendicò, il cane del Principe di Salina che il protagonista del Gattopardo di Tomasi di Lampedusa paragona alle stelle, capaci di provocare gioia in chi le osserva senza pretendere nulla in cambio” esse sono le sole pure, le sole persone per bene…vedi tu, Bendicò, sei come le stelle, felicemente incomprensibile, incapace di produrre angoscia… e con quegli occhi al medesimo livello del naso, con la tua assenza di mento, è impossibile che la tua testa evochi, nel cielo, spiriti maligni”.
La maggior parte degli artisti in mostra ha scelto di immortalare Italo Barocco in solitudine, nonostante egli sia un cane amante della compagnia degli uomini (non lo si vede mai in compagnia dei suoi simili). E’ lui il protagonista unico delle opere assieme a scorci cittadini “ribassati”, da sotto in sù, – o lungo direttrici prospettiche che convergono verso un punto di fuga in direzione del suo dolcissimo muso. Sia che dorma (Floriana Rampanti, Mimmo Fiorilla, Giovanni Lissandrello, Angelo Di Quattro), sia che passeggi (Giovanna Gennaro-che lo coglie in una delle sue espressioni più tipiche facendo risaltare la medaglietta con il suo nome che risplende, come un monile, nell’atmosfera notturna e infiammata di Piazza Municipio- Salvatore Paolino, Carmelo Candiano, Ninni Sacco), sia immerso nei suoi misteriosi e insondabili pensieri (Salvatore Chessari, Sebastiano Messina, Giovanni Blanco, Giuseppe Cassibba, Carmelo Errera, Piero Guccione, Ilde Barone- in una delle più interessanti immagini dell’esposizione nella quale Italo si “materializza” come un ologramma tra la fitta e pastosa texture della materia pittorica- Sonia Alvarez, in un accorato, quanto incisivo pastello nel quale Italo Barocco possiede quell’aura che accompagna le anime trasparenti), sia che sia in compagnia dei numerosi amici (Franco Polizzi, Mavie Cartia -con un olio dal sapiente gioco di luci e ombre e con una fuga prospettica insolita ed efficace- Giovanni Iudice). Quest’ultimo ha collocato Italo Barocco all’interno di un contesto domestico, forse perduto, dove la luce filtra dalle persiane socchiuse e accende il candido abito della bambina e il pelo del cane, simbolo-cane e bambina- della purezza , dell’ingenuità, dello stupore che il mondo adulto ha smarrito definitivamente.
C’è un divario fra il mondo adulto, costretto a percorrere una linea retta e sempre soggetta a cambiamento e il BEATO TEMPO DEI CANI, circolar, continuo, abitudinario, felice. Così lo descrive Milan Kundera ne L’insostenibile Leggerezza dell’essere, all’interno dell’ultimo capitolo del romanzo dal titolo Il Sorriso di Karenin . Un cane non chiede altro che fare, ogni giorno, quello che fa abitualmente tutti i giorni, come se le sue azioni corrispondessero e seguissero il tempo di quel respiro regolare, ritmico della Natura. Quell’Insostenibile leggerezza di essere… cane che il genere umano ha perduto, secondo Kundera, dopo essere stato cacciato dal Paradiso Terrestre nel quale si vive, senza pena, un continuo ed eterno presente che non pone domande, che non reclama scelte. Un cane sa benissimo come vivere, è più saggio dell’uomo, non spreca il suo tempo accumulando proprietà, vive per una carezza, una pappa, per agitare la coda.
Rino Gaetano, in una canzone poco conosciuta cantava: escluso il cane tutti gli altri son cattivi, escluso il cane non rimane che gente assurda.
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